In questo circostanziato intervento ho deciso di affrontare da un punto di vista strettamente normativo i profili operativi che contraddistinguono la gestione venatoria degli ungulati: la caccia di selezione e la seguita.
In ogni caso, la presente riflessione non ha alcuna intenzione denigratoria, né nei confronti della caccia di selezione agli ungulati, né della seguita, ma si limita ad un’analisi delle carenze normative insite nella legislazione nazionale e sulle loro ripercussioni in termini di gestione faunistico-venatoria.
Ciò premesso, le normative in tema di derivazione internazionale (Convenzione di Berna) e di matrice comunitaria (Direttiva 92/43/CEE, cd. “Habitat”) focalizzano la propria attenzione sulla conservazione della fauna selvatica, tra cui gli ungulati, attribuendo alle singole specie diversi livelli di protezione, da questi ne discendono le relative possibilità di gestione faunistico venatoria. Gestione che, in breve, deve mirare all’uso sostenibile delle risorse faunistiche.
Ora le disposizioni in parola non fanno alcuna differenza tra la caccia di selezione agli ungulati e la seguita. Entrambe sono considerate legittime purché non contrastino con gli obiettivi di conservazione della fauna selvatica perseguiti.
Ma veniamo in Italia.
Innanzitutto, si deve evidenziare che la caccia di selezione agli ungulati non appartiene alla tradizione venatoria italiana.
Questa modalità di caccia, con tutti i suoi pregi e difetti, è di origine mitteleuropea, dunque estranea al patrimonio nazionale ed al contestuale tessuto socio culturale venatorio continentale italiano e peninsulare mediterraneo.
Ciò è inconfutabile, poiché passando in rassegna la prima codificazione della legislazione venatoria in Italia (R.D. n. 1016/1939), esaminando l’intermedia Legge quadro sulla caccia (L. n. 968/1977), si può osservare come il termine “caccia di selezione” sia stato inserito soltanto nell’ultima, e vigente novella normativa del 1992.
Infatti, l’attuale Legge quadro nazionale n. 157 del 1992, parla di caccia di selezione agli ungulati soltanto nell’art. 18, e precisamente, per concedere due deroghe peculiari per questa specializzazione venatoria: la caccia di selezione agli ungulati è consentita fino ad un’ora dopo il tramonto; previo parere dell’Istituto Superiore per Protezione e la Ricerca Ambientale (I.S.P.R.A.), la caccia di selezione agli ungulati può essere autorizzata a far data dal 1° giugno, nel rispetto dell’arco temporale della stagione venatoria.
Al contrario, il termine caccia agli ungulati mediante seguita esiste solo in una restrizione: il divieto dell’uso dei segugi nella caccia al camoscio (art. 21, c. 1, lett. ff).
Nonostante la richiamata Legge n. 157/1992 sia abbondantemente maggiorenne, nei sui oltre vent’anni, 21 per la precisione, di vigenza non si è mai occupata di definire, integrando il proprio corpus normativo, né con il concetto di caccia di selezione, e nemmeno con quello di caccia alla seguita.
Ma allora, per dare sostanza alle presenti osservazioni, quali sono le definizioni di caccia di selezione o di caccia alla seguita agli ungulati nella Legge quadro nazionale sull’attività venatoria?
Per estrema onestà intellettuale si può, anzi si deve, fare solo una costatazione: nessuna, non esistono.
E’ proprio per questo silenzio normativo che ci troviamo oggi dinanzi a due “fantasmi”. Sì perché di “fantasmi” normativi si tratta, poiché sia la selezione, sia la seguita, sono entrambe deficienti di un contenuto giuridico codificato quantomeno nel solco della legislazione venatoria europea e statale.
E così, il legislatore è intervenuto prevedendo un’eccezionale, tanto favorevole, disciplina per la caccia di selezione, che è stata inserita nell’ordinamento giuridico italiano tramite la cd. Legge finanziaria 2005, e precisamente nell’art. 11-quaterdecies, comma 5, L. n. 268/2005, il quale postula che “Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica o, se istituti, degli istituti regionali, possono, sulla base di adeguati piani di abbattimento selettivi, distinti per sesso e classi di età, regolamentare il prelievo di selezione degli ungulati appartenenti alle specie cacciabili anche al di fuori dei periodi e degli orari di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157”.
A rigor di logica, lo strumento della Legge finanziaria non è sicuramente la fonte normativa idonea per il raggiungimento dell’obiettivo di una riforma strutturale ed organica della normativa venatoria.
Come visto, la natura “sovrannaturale, quasi immateriale” di questi concetti giuridico-venatori nella L. 157/1992, e una previsione non incardinata in quest’ultima norma, ma nella Legge finanziaria del 2005, non sono state prive di inconvenienti, che continuano a condizionare radicalmente le sorti della caccia di selezione e della seguita, e di riflesso, degli ungulati.
La prima, cioè la caccia di selezione, ha incontrato il favore incondizionato degli Istituti scientifici italiani (tra cui l’I.N.F.S., ora I.S.P.R.A.), in chiara controtendenza con il resto d’Europa, e quindi, sulla base del combinato disposto dei paradigmi normativi di cui all’art. 18 della L. n. 157/1992 e all’art. 11-quaterdecies, comma 5, L. n. 268/2005, anche delle Pubbliche Amministrazioni deputate ad attuare la gestione faunistico venatoria.
Diversa sorte è toccata alla caccia alla seguita agli ungulati che viene in Italia “demonizzata”, e praticata solo in Veneto ed in alcune vallate del Friuli Venezia Giulia ed anche in questo caso in chiara controtendenza con il resto d’Europa dove invece si considera la caccia alla seguita per il prelievo degli ungulati un concreto e corretto, ed insostituibile, metodo do gestione.
Questo panorama venatorio è semplicemente possibile per il sol fatto, che a causa dell’assenza di previsioni normative statali, non dico dettagliate, ma quantomeno di indirizzo, ci si ritrova inevitabilmente nel campo della discrezionalità legislativa ed amministrativa sub statale.
Persino la Giurisprudenza Amministrativa non ha mai formulato possibili definizioni concettuali in merito, ma si è limitata a verificare la regolarità procedimentale ai fini di attuare il prelievo venatorio.
Questa discrezionalità si è potuta così estendere sino al colmare gli ampi spazi lasciati sguarniti dal legislatore nazionale, e si sostituisce quasi in toto alle disposizioni “quasi” essenziali in materia contenute nella Legge quadro sulla caccia: nella pratica, il tutto si è tradotto in un incentivo per la caccia di selezione e in un confino della tradizionale caccia alla seguita.
Ecco allora che, per evitare sperequazioni tra la caccia di selezione e la seguita, disuguaglianze che si ripercuotono in primis sugli ungulati, ed in seconda battuta sui cacciatori, è sufficiente attenersi all’impianto normativo statale di cui alla Legge quadro n. 157/1992 per comprendere come sia la caccia di selezione, sia il prelievo venatorio agli ungulati con l’ausilio del cane, siano metodi di gestione venatoria perfettamente legittimi.
A conforto di quanto fin qui osservato, mi sia concessa un’ultima, non isolata, considerazione sul controllo faunistico e i danni legati alle produzioni agricole e forestali.
Per dirla con le parole del legislatore estensore della ormai nota L. n. 157/1992, la gestione faunistica venatoria deve tendere al raggiungimento ottimale delle consistenze faunistiche sul territorio e in concomitanza non deve contrastare con le attività zoo-agro-forestali (art. 1). Qualora non si riesca a conciliare la tutela delle produzioni antropiche agricole e zootecniche con la presenza di fauna selvatica si può ricorrere al controllo faunistico (art. 19).
Ma vediamo un caso pratico attuale quanto mai incalzante. Si rinvia, con estrema facilità, ai danni che provoca il cinghiale alle produzioni agricole in Italia, oppure al dissesto causato dai cervidi agli ecosistemi agricoli e forestali, e poniamoci alcune domande.
In questi frangenti, si può rilevare che i mezzi messi a disposizione dal legislatore in materia di controllo della fauna selvatica di cui all’art. 19 L. n. 157/1992 (in sequenza: accertamento danni, adozione metodi ecologici, parere I.S.P.R.A. sulla loro inefficacia, abbattimento), non sono né economici, né efficaci, né efficienti?
Considerando i dati sull’andamento delle popolazioni degli ungulati nella penisola italiana (dati I.S.P.R.A. 2013), si può sostenere che la sola caccia di selezione – dopo quasi vent’anni di supremazia rispetto alla seguita – non sia in grado di assolvere al compito di una corretta gestione faunistica, in particolare alla prevenzione dei danni al comparto agricolo e zootecnico, con un controllato increasing delle popolazioni di ungulati.
Come mai, nella maggioranza dei casi di “contrasto” che si vengono sempre più frequentemente a creare nella “difficile” convivenza tra l’uomo, da un lato, e, ad es. il cinghiale, dall’altro, si ricorre al controllo faunistico, o alla caccia se consentita, “chiedendo aiuto ai cani da seguita” solo quale ultima chance?
Non c’è bisogno di suggerire la risposta. Basta eliminare l’incipit di ogni singolo quesito e i punti interrogativi, per avere una quadro coerente con la realtà dei fatti!
Si pensi che l’Unione Europea da sempre parla di conservazione della fauna selvatica e di sostenibile convivenza reciproca tra l’uomo e gli animali.
Convivenza sostenibile che così non è, almeno nel caso di specie: gli ungulati per due decenni, con il maggioritario prelievo selettivo, hanno sì accresciuto le loro consistenze numeriche, ma ora ci si trova costretti a ricorrere sempre più spesso al controllo faunistico. Controllo che viene definito dalla corrente giurisprudenziale consolidata quale extrema ratio, alle volte, preposta anche a rimediare a politiche gestionali non sempre corrette.
Ne discende qualche perplessità sulla legittimità – in raffronto alla normativa comunitaria e statale menzionata – dei risultati a cui si è pervenuti in materia di gestione degli ungulati, non tanto in termini di incremento della consistenza numerica delle specie, ma soprattutto in relazione ai danni causati all’agricoltura, all’allevamento, alla biodiversità, e nel complesso alla collettività.
Nel concludere questa circoscritta disamina comparata tra diritto sovranazionale e diritto interno, caccia agli ungulati tra selezione, seguita e controllo faunistico, si è dunque dimostrato come sotto il profilo legislativo non vi è alcuna disparità: la seguita non è una dea Diana minore subordinata alla caccia di selezione.
E ancora, stando alla normativa statale vigente, la caccia di selezione non è una corsia preferenziale per la gestione degli ungulati rispetto alla caccia alla seguita.
Proprio a fronte della situazione in cui versano gli ungulati in Italia, dove ci si divincola in dilemmi, tra risorse e problemi, la seguita dovrebbe essere considerata come una potenziale strategia di conservazione degli ungulati.
Davide Brumana