In un'altra nota ho avuto occasione di ricordare che un tempo (prima degli anni '80) i cuccioloni dovevano subire un tirocinio addestrativo preliminare alla caccia pratica, mentre oggi essi sono in grado di svolgere un buon lavoro già dopo le prime esperienze senza alcuna pressione didattica o addestrativa.
Questo grande progresso è il frutto di una lungimirante pressione selettiva che è riuscita a rendere genetiche nel cane tutte le principali qualità venatorie, incluso il collegamento con il cacciatore.
A questa precocità naturale dei cuccioli, che ne consente l'immediato utilizzo, si deve l'abitudine ormai diffusa dei cacciatori di allevarli, tenerli in casa e iniziarli personalmente alla caccia.
Ho constatato (con una certa sorpresa) che la convivenza del cane con il cacciatore svolge un ruolo positivo nella formazione del cane da lavoro (in sinergia con la dotazione genetica e con l'ambiente faunistico di iniziazione), perchè anzitutto il cucciolone è stimolato assai più in casa che in canile, e poi si adatta spontaneamente al modo di cacciare del padrone con il quale "fa sistema" (che è garanzia di successo).
Poichè al cane da lavoro si richiede più che la correttezza la "resa venatoria" (che non si può insegnare perchè ogni cane la "costruisce" in base al suo talento), è quasi sparita la professione di addestratore di cani per la caccia e nessuno più conosce i vecchi strumenti di addestramento (lo "strozzone", la "corda di ritegno", il fuciletto "Flobert", ecc.).
In questa situazione la necessità del dressaggio è ormai circoscritta ai casi limite di soggetti riluttanti a collaborare con il cacciatore (che spesso non convivono con lui) e comunque si è ridotta ad una semplice educazione all'obbedienza al richiamo.
Quando il dressaggio è fatto prima dell'iniziazione venatoria (con il "lavoro di cortile") non presenta difficoltà se il cucciolo convive con il cacciatore perchè ha metabolizzato la dominanza del padrone ed ha fiducia in lui.
Se il cucciolone ha già fatto una stagione venatoria, allora il dressaggio richiede una esperienza e competenza specifica.
Secondo la mia esperienza, per ottenere l'obbedienza dal cane occorre tenere presente che il suo meccanismo mentale è del tutto diverso da quello dell'uomo, sia nella struttura che nel modo di funzionare.
L'uomo ha un pensiero intelligente, le sue azioni sono sorrette da coscienza e volontà, e la sua forma di comunicazione è il linguaggio verbale.
Le reazioni del cane agli stimoli sono istintive, automatiche, ereditarie, improntate ad opportunismo, socialità, gregarietà e capacità di adattamento.
Il cane non capisce il significato delle parole del padrone ma ne "legge" il linguaggio del corpo e ne interpreta i toni, i volumi, i timbri della voce.
L'uomo, spesso deviato dall'antropomorfismo, attribuisce (a torto) al cane intelligenza e senso morale e questo equivoco crea un problema di comunicazione che è alla base delle difficoltà dell'addestramento.
L'educazione all'obbedienza tende ad imporre al cane, a comando, un comportamento che è estraneo alle sue pulsioni istintuali (per esempio deve interrompere l'inseguimento di una lepre o di un gatto) e per ottenere ciò non ci si può affidare alla sua capacità di comprensione del comando (che è carente), ma occorre sfruttare i suoi istinti fondamentali (la predazione, la socialità, l'appetito, il gioco) per indurlo progressivamente ad obbedire.
Ad esempio il cucciolo è ansioso di stare con il padrone e di giocare con lui: se gli si tira un oggetto, corre ad afferrarlo e torna spontaneamente dal padrone (per ripetere il gioco): bisogna sfruttare questa occasione per formulare il comando e dargli il premio.
La ripetizione assidua e ferma di questa sequenza (per un tempo più o meno lungo secondo il carattere del cane) porta a radicare nel cane un "riflesso condizionato" memorizzato, per cui l'obbedienza al comando scatta meccanicamente senza più collegamento con il premio.
L'esercizio va ripetuto fino a quando il riflesso scatta anche in condizioni di eccitazione del cane, ed è un errore comune sospenderlo troppo presto, sul presupposto che il cane abbia "capito" (nel senso proprio del termine) ciò che vuole il padrone; mentre invece il cane non è in grado di stabilire un nesso razionale tra comando ed obbedienza, ma fa associazioni elementari spesso improprie, perchè basate solo su legami temporali. Perciò se c'è un piccolo intervallo di tempo tra azione e rinforzo il cane non sapendo più perchè viene premiato o punito può perdere la fiducia in se stesso e nel padrone con il quale difficilmente farà "sistema".
In sostanza va ricreata artificialmente la sequenza comportamentale naturale che si articola su "stimolo" (il comando); "reazione indotta" (il comportamento); "premio" (rinforzo positivo per la corretta esecuzione); "punizione" (rinforzo negativo per l'errore).
Concludo questa nota introduttiva al dressaggio, aggiungendo che esso può essere basato su due sistemi, premiale o punitivo, ma quest'ultimo (reso ormai agevole dall'avvento dei collari elettronici) presenta rischi che possono penalizzare proprio le potenzialità venatorie del cane, e che occorre saper evitare.
Enrico Fenoaltea