La mia avventura con la caccia di selezione agli ungulati è nata in Toscana, e mai avrei sperato immaginare che un giorno avrei avuto l’opportunità di andare a caccia, seppure solo come accompagnatore, non solo nella mia terra d’origine ma in particolare nel meraviglioso scenario del Parco Nazionale del Pollino. In realtà non si tratta proprio di caccia ma di contenimento della specie cinghiale con la tecnica dell’aspetto.
Da qualche anno, visto i numerosi danni alle colture, anche nell’area protetta più vasta d’Italia è stato introdotto un piano di contenimento del cinghiale. Diverse volte ho avuto modo di accompagnare con la mia reflex gli amici selecontrollori del distretto due del parco. Albe e tramonti incantevoli, profumi di timo e origano di monte, scenari mozzafiato…mille esperienze sensoriali si sono avvicendate nelle diverse uscite, facendoci rendere conto che solo la caccia permette di vivere appieno la montagna.
Trovandomi in Calabria per qualche giorno di relax, non ho potuto rifiutare l’ennesimo invito di Ennio Agostini, capodistretto del settore due: accompagnarlo con la mia reflex in un’uscita al cinghiale sarà sicuramente un’altra esperienza da inserire nell’album delle emozioni.
L’appuntamento nel primo pomeriggio dopo le “fatiche” del pranzo si apre con un buon caffè forte. Intorno al tavolo del bar si raccolgono nel giro di pochi minuti tutti gli amici impegnati nell’uscita di oggi. Ennio è arrivato prima di tutti, oggi è vistosamente emozionato e forse anche un po’ teso per la “responsabilità” di essere accompagnato da me e da tutte le mie inconfessate aspettative. Angelo, Carlo, Leo e Gianni si apposteranno ciascuno nella zona assegnatagli dal calendario interno del settore.
“Questo immenso Parco Nazionale” mi spiega Ennio mentre arrampichiamo tra stretti tornanti con la jeep “è suddiviso in dieci settori. Noi siamo nel due, uno dei più estesi. I selecontrollori del settore sono molto organizzati, il territorio è suddiviso in zone e ciascuno ha una zona assegnata a rotazione secondo un calendario interno”.
Via via che procediamo i fuoristrada si snodano nelle varie viuzze, per raggiungere i diversi appostamenti. Siamo in un posto veramente spettacolare, con prati ricoperti di erba freschissima, radure, pareti di roccia, boschi. Se dovessi scegliere la zona in cui appostarmi avrei davvero l’imbarazzo della scelta e arriverebbe il buio prima di decidere!
Per fortuna il calendario ha deciso per noi e nel giro di pochi minuti abbiamo lasciato la macchina e ci siamo incamminati, sotto il peso dei nostri attrezzatissimi zaini, lungo la salita che porta all’appostamento. La natura di questi luoghi ha fatto si che non fossero necessari manufatti umani o altane: le rocce naturali forniscono ottimi appoggi per sparare. Magari averne nelle dolci colline toscane dove caccio il capriolo!
“Le ultime uscite non sono state molto fortunate” esordisce Ennio circospetto, quasi per ridimensionare il sorriso a trentadue denti che ho stampato in faccia da quando ci siamo incontrati. Sebbene i segni di presenza siano effettivamente scarsi, per non dire inesistenti, il mio entusiasmo non vuole farsi fiaccare dai segnali sconfortanti che giungono dalla superficie troppo compatta delle verdeggianti radure, e si puntella piuttosto sull’ineluttabile mantra che porto sempre con me: “mai dire mai!”.
Dopo i primi minuti passati a sistemare gli zaini e la carabina mi guardo intorno e sono combattuto tra l’impugnare il binocolo o la reflex: quello che si presenta ai miei occhi è veramente un panorama sconfinato, aiutato dalla giornata tersa e luminosa, ogni angolo del mio campo visivo potrebbe diventare una scena da cartolina, potrei scattare milioni di fotografie una più bella dell’altra.
Guardando a occhio nudo, o attraverso il teleobbiettivo della reflex, sembra di essere in un territorio quasi lunare, dove le uniche forme di vita sono piante e fiori inanimati, ma così non è: l’importanza del binocolo si conferma non appena iniziamo a sbinocolare. Due caprioli, un maschio e una femmina, si rincorrono lontanissimi nel prato sotto di noi, per poi sparire nel folto del bosco. Siamo sicuri di rivederli più tardi, quando la luce sarà propizia. Il capriolo nel Parco Nazionale del Pollino è una specie particolarmente preziosa e tutelata, dal momento che questo rappresenta uno dei pochi nuclei di Capreolus capreolus Italicus. Ammirarli dal vivo è un privilegio di pochi!
Con il mio bino-telemetro inizio a “prendere le misure” telemetrando i possibili punti in cui potrebbero palesarsi i cinghiali. Non tutti sono tiri facili, gli appoggi sono ottimi ma in alcuni casi potrebbe essere necessario spostarsi.
Il sole che ci aveva scaldati e confortati dalle folate di aria fresca nelle prime ore del pomeriggio sta lentamente declinando ad accarezzare le cime. Bagliori di calda luce primaverile si stagliano dietro i monti come un’aureola, mentre le ombre lunghe si intrecciano nella valle, percorsa da una brezza che non è più tanto piacevole. Insieme alla luce va scemando anche la grinta, e il mio sorriso da entusiasticamente beato si fa placidamente speranzoso, niente di più.
Ennio fa eco ai miei sentimenti con una postura un po’ raggobbita, purtroppo si sta verificando ciò che lui aveva pronosticato. Nonostante ciò continuiamo a perlustrare attraverso i nostri binocoli.
Dal folto bosco che l’aveva inghiottita nel pomeriggio, la femmina di capriolo fa capolino e inizia a brucare. Scrutiamo tutt’intorno per cercare di avvistare anche il maschio, che però non si concede per il secondo appuntamento.
Quando la luce esala le ultime vibrazioni prima di spegnersi del tutto, gli occhi del cacciatore iniziano a fare brutti scherzi: che si cerchino caprioli, daini o cinghiali sembra di vederne ovunque. I cespugli o i tronchi che son lì da ore all’improvviso sembrano essere appena comparsi, o cambiare forma o addirittura spostarsi, e al binocolo ogni volta tocca svelare la vera natura delle allucinazioni che accompagnano quei magici, adrenalinici minuti che precedono il buio. “Eccolo!” esclama Ennio, quasi con fiato corto, “Eccolo, è lui! È un verro! È sicuramente un verro!”, prosegue l’esperto selecontrollore, senza nemmeno abbassare troppo la voce, vista l’enorme distanza che ci separa dal grosso animale impegnato a grufolare nel terreno. Restiamo qualche momento a goderci la tanto agognata scena, e per un istante sembriamo in bilico tra il tentennare e il raccogliere le forze e la concentrazione necessarie a sfidare l’ora tarda e la considerevole distanza che ci separa dal cinghiale. Ma a nessuno dei due sfiora il dubbio. Si va!
Ennio mette in spalla la carabina e il suo pesante zaino mentre io, per non perdere secondi preziosi, decido di abbandonare tutti gli oggetti sparsi fuori dallo zaino aperto, per recuperarli al ritorno.
Prima di tutto prendiamo dei riferimenti spaziali che ci aiuteranno a identificare il punto in cui abbiamo visto il cinghiale lungo il cammino, quando la prospettiva cambierà e non sarà facile orientarsi, soprattutto con l’avanzare del buio. Controlliamo il vento e ci assicuriamo che la nostra traiettoria non faccia giungere il nostro odore al sensibile grifo della nostra scaltra preda. Cammineremo col vento a favore e tenteremo un avvicinamento cauto ma celere, l’adrenalina che ci scorre nelle vene ha aguzzato tutte le nostre facoltà fisiche e mentali, e ci incamminiamo decisi verso fondovalle.
Il percorso obbligato che ci ritroviamo a compiere intercetta la capriola che nel frattempo continuava a brucare solitaria nel prato. Ci dispiace disturbarla ma soprattutto temiamo che la sua fuga possa allarmare, sebbene lontano, il cinghiale. Fortunatamente la capriola si dilegua nella direzione opposta e, ignorata dal verro, scompare ancora nel bosco.
Dopo la discesa e un breve tratto pianeggiante il nostro percorso prevede di risalire nuovamente una scoscesa scarpata, dalla cui base il cinghiale non è visibile per un tratto. Cominciamo la salita di buona lena tenendo sempre fissi i riferimenti che avevamo identificato dall’appostamento. A metà strada ci fermiamo qualche secondo: la fatica fisica e soprattutto il coinvolgimento emotivo hanno alzato troppo la frequenza dei battiti cardiaci, e ci concediamo qualche istante per regolarizzarli. Da qui posso vedere nuovamente il verro che non si è spostato di molto. Telemetro: sono 375 metri, ancora troppi per tentare un tiro da qui, anche se il tempo stringe e ci sfiora per un attimo la tentazione….”Abbiamo il vento alle spalle” sussurro ad Ennio, “non possiamo procedere in linea retta da qui, dobbiamo aggirarlo per non farci avventare!”. Scegliamo la nostra meta e ci incamminiamo in un percorso a ferro di cavallo.
Arrivati nel punto prefissato posiamo lo zaino e controlliamo la scena: il solengo è sempre lì, intento a sondare col grifo il terreno. Il mio bino-telemetro segna 153 metri. Con la carabina sullo zaino Ennio accende il reticolo in modalità notturna. Il cinghiale è posizionato di punta e, sebbene l’avessimo inquadrato perfettamente nel binocolo, ora nell’ottica si fa fatica a ritrovarlo. “Calma!” dico ad Ennio. Lo ritrova nel binocolo, prende un riferimento nel crepuscolo e lo re-inquadra nell’ottica. Eccolo, finalmente lo vede. Aumenta lentamente gli ingrandimenti e nel frattempo la maestosa mole del cinghiale si è messa a cartolina. Arma la carabina, espira lentamente e il boato della fucilata è prontamente coperto dalle fragorose pacche che suono sulla spalla di Ennio mentre con l’altra mano stringo il binocolo attraverso le cui lenti mi sono goduto la scena. “Bravo! Bravo! È un animale stupendo!” esulto “Un colpo perfetto, fulminato sul posto!”.
Senza aspettare tutto il tempo canonico, sospinti dal buio ormai fitto, raggiungiamo l’animale abbattuto e ci lasciamo sbalordire dalle notevoli difese che biancheggiano ai lati della testa, nonché dalla possente stazza del verro. Rendiamo gli onori alla magnifica preda cercando di comporla nel modo più dignitoso per le foto di rito.
Nel frattempo, man mano che il buio s’infittisce, un milione di piccole stelle prendono vigore e brillantezza e occhieggiano dall’alto vegliando su di noi, cacciatore e preda, stringendoci in un silenzioso abbraccio di luce che solo una notte in montagna può dare.
Testo e foto di Vincenzo Frascino