Negli scorsi giorni abbiamo dato notizia del fatto che l'argomento caccia non è nemmeno stato sfiorato nella relazione che l'Europa ha sottoposto all'Italia per risolvere i casi di infrazione aperti e quelli in divenire sul fronte della protezione della natura e della biodiversità. Nel recentissimo report sulle decisioni di febbraio 2017 della Commissione Ue relativo allo stato di infrazione dei diversi Paesi, l'Italia spicca per il numero di richiami in materia ambientale. Si tratta purtroppo di problemi molto seri che non riguardano solo il nostro territorio, ma soprattutto la nostra salute. Tutti questi casi potrebbero sfociare in sanzioni milionarie. Vediamoli:
INQUINAMENTO DELL'ARIA
Anzitutto la qualità dell'aria che respiriamo, visto che il nostro Paese è tra i 5 stati richiamati dall'UE per le persistenti violazioni dei limiti di inquinamento atmosferico, insieme a Germania, Francia, Spagna e Regno Unito. Questi paesi hanno omesso di intervenire – dice la Commissione Ue – per risolvere le ripetute inadempienze dei limiti previsti per il biossido di azoto, che, dice sempre la Commissione Ue, rappresenta un grave rischio per la salute pubblica. La legislazione dell'UE sulla qualità dell'aria ambiente (direttiva 2008/50/CE) stabilisce valori limite per gli inquinanti atmosferici, tra cui il biossido di azoto. In caso di superamento di tali valori limite gli Stati membri sono tenuti ad adottare e attuare piani per la qualità dell'aria che stabiliscono provvedimenti per porvi rimedio nel più breve tempo possibile. Il parere motivato contesta all'Italia il persistente superamento dei limiti in 12 zone tra cui Roma, Milano e Torino. Se gli Stati membri non interverranno entro due mesi, la Commissione potrà decidere di deferire la questione alla Corte di giustizia dell'UE.
RIFIUTI
La Commissione ha nuovamente esortato l'Italia ad adottare e aggiornare i piani per la gestione dei rifiuti conformandoli agli obiettivi della legislazione dell'UE in materia di rifiuti (direttiva 2008/98/CE) e ai principi dell'economia circolare. Tali piani sono destinati a ridurre l'impatto dei rifiuti sulla salute umana e sull'ambiente e a migliorare l'efficienza delle risorse in tutta l'UE. Gli Stati membri sono tenuti a rivalutare i loro piani di gestione dei rifiuti almeno ogni sei anni ed eventualmente a riesaminarli. Diverse regioni italiane (Abruzzo, Basilicata, Provincia autonoma di Bolzano, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Sardegna e Sicilia) hanno omesso di riesaminare i loro piani di gestione dei rifiuti adottati nel 2008 o prima di tale data. La Commissione invia pertanto un parere motivato. Se le autorità italiane non interverranno entro due mesi, il caso potrà essere deferito alla Corte di giustizia dell'UE.
SPERIMENTAZIONE ANIMALE
La Commissione europea, come per altro già fatto in passato, ha invitato l'Italia a conformare pienamente la sua legislazione nazionale alle norme UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici (direttiva 2010/63/UE). Tale direttiva, che doveva essere recepita nel diritto nazionale entro il 10 novembre 2012, garantisce che il livello di benessere degli animali resti elevato pur salvaguardando il corretto funzionamento del mercato interno. Essa mira altresì a ridurre al minimo il numero di animali utilizzati a fini sperimentali e impone di ricorrere ad alternative ogniqualvolta possibile. Sebbene l'Italia abbia recepito la direttiva nel marzo 2014, alcune non conformità devono essere risolte. Da un lato gli standard di benessere degli animali previsti dalla normativa italiana restano inferiori a quelli stabiliti dalla direttiva, mentre dall'altro gli standard ritenuti dall'Italia più elevati possono in realtà ostacolare il corretto funzionamento del mercato interno. Ad aprile 2016 la Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora. Poiché permangono problemi sostanziali di conformità, la Commissione invia ora un parere motivato. Se le autorità italiane non interverranno entro due mesi, il caso potrà essere deferito alla Corte di giustizia dell'UE. Il Governo italiano come ha reagito? Mettendoci una pezza e prorogando per tre anni con un emendamento al Decreto Milleproroghe, in via di approvazione nei prossimi giorni, la possibilità per i ricercatori di utilizzare le cavie da laboratorio, come per altro prevede la Direttiva UE. Il che rimanda il problema di una norma solo italiana, approvata su pressioni animaliste, che appare sempre più antiscientifica e spropositata nella sua applicazione pratica, con il risultato di frenare la ricerca su importanti malattie.
ACQUE REFLUE URBANE
Su questo fronte l'Italia rischia molto. Stiamo parlando 189 milioni di euro l'anno di sanzioni per non aver garantito che le acque reflue urbane vengano adeguatamente raccolte dal sistema fognario, al fine di evitare gravi rischi per la salute umana e per l'ambiente. La causa con l'Europa si trascina dal 2012, quando all'Italia furono contestati i sistemi fognari di 109 agglomerati (città, centri urbani, insediamenti). A distanza di quattro anni la questione non è ancora stata affrontata in 80 agglomerati, che contano oltre 6 milioni di abitanti e sono situati in diverse regioni italiane: Abruzzo (1 agglomerato), Calabria (13 agglomerati), Campania (7 agglomerati), Friuli Venezia Giulia (2 agglomerati), Liguria (3 agglomerati), Puglia (3 agglomerati) e Sicilia (51 agglomerati). La mancanza di adeguati sistemi di raccolta e trattamento in questi 80 agglomerati pone rischi significativi per la salute umana, le acque interne e l'ambiente marino. La Commissione a dicembre scorso ha chiesto alla Corte di giustizia dell'UE di comminare una sanzione forfettaria di 62.699.421,40 euro, oltre ad una sanzione giornaliera pari a 346.922,40 euro qualora la piena conformità non sia raggiunta entro la data in cui la Corte emette la sentenza. La decisione finale in merito alle sanzioni spetta alla Corte di giustizia dell'UE. Garantire che tutte le aree urbane dispongano di strutture per il trattamento delle acque reflue correttamente funzionanti può comportare considerevoli vantaggi per i cittadini dell'UE, poiché le acque non trattate pongono notevoli rischi per la salute umana e l'ambiente.