La cinofilia venatoria è una patologia insidiosa a decorso progressivo (e incurabile). Ho iniziato ad allevare ed addestrare i cani nel 1953 (prima licenza) andando a caccia con i cani (inglesi) di mio padre, che poi (bontà sua!) mi ha consentito di allevare e addestrare i cani nella sua riserva.
Da allora, per pura passione, ho allevato circa 300 cani, che in gran parte ho addestrato e utilizzato per la caccia. L'aspirazione di ogni cinofilo-allevatore è quella di migliorare le doti venatorie dei cani da lavoro, e questi sono il frutto della sinergia tra doti genetiche e qualità dell'ambiente faunistico di iniziazione.
L'allevatore amatoriale di cani da lavoro deve per necessità oggettive (mezzi finanziari e strutture limitate) seguire criteri empirici, facendo accoppiare i soggetti migliori di cui conosce gli ascendenti, e controllare i risultati nei discendenti.
Questo sistema empirico, a mio avviso, può dare buoni risultati se ricorrono alcune condizioni (non facili da conseguire). Anzitutto occorre che l'allevatore conosca direttamente i cani da far accoppiare (cosa che può fare se ha i riproduttori in canile e ha sperimentato sul campo almeno due o tre generazioni di ascendenti).
Inoltre, per accertare le qualità di un cucciolone occorre un ambiente faunistico di iniziazione di alta qualità e poi, quando il cucciolo ha superato l'anno, una riserva nel quale provarlo ripetutamente a confronto con altri. Fatta la scelta, per accertare se il maschio è un riproduttore, occorrono altri due anni per valutare i suoi discendenti.
E' intuitivo come tutto ciò richieda tempi lunghi, costi elevati, e la disposizione di ambiente faunistici idonei. Questo insieme di circostanze, se opportunamente sfruttate, riescono ad assicurare nel tempo soggetti abbastanza omogenei e con pochi scarti.
Ma nell'allevamento nessun risultato è mai definitivo e incroci e inincroci devono essere alternati con continua accortezza, per evitare le conseguenze "collaterali" di una pressione selettiva impropria. Del resto anche nell'ippica dove mezzi finanziari e strutture non soffrono limitazioni, un Ribot o un Varenne sono eccezioni.
Tornando al tema centrale del miglioramento qualitativo della resa venatoria del cane da lavoro, occorre prendere atto che la selezione attuale ha raggiunto a mio avviso un livello (elevato) che solo in tempi lunghi e con grandi sforzi potrà subire qualche modesto incremento. Del resto anche in natura la selezione naturale ha un risultato conservativo e non migliorativo.
L'ambito nel quale a mio avviso l'allevatore può ancora indirizzare i suoi sforzi sono anzitutto trovare l'ambiente venatorio migliore possibile nel quale iniziare i cuccioloni, perchè esso è determinante per sollecitare lo sviluppo di tutte le potenzialità genetiche del cucciolone, e poi per potere provare e confrontare sul campo i vari soggetti.
Altro elemento importante per lo sviluppo delle potenzialità venatorie del cane, sta nell'evitare che nel periodo di acquisizione della tecnica venatoria, il padrone interferisca con pressioni didattiche o addestrative sul cucciolone, che possono solo nuocere e non giovare (si può insegnare al cane il senso del selvatico?). Accenno infine ad un nuovo aspetto (molto suggestivo) che mi riservo di sviluppare in un'altra occasione.
In una conversazione con un grande cacciatore (e illustre clinico), questi mi ha ricordato che un esperimento fatto negli USA sui topi, proverebbe che le informazioni (e i comportamenti) appresi dai genitori con l'esperienza diretta, possono trasmettersi ai discendenti (che tali esperienze non hanno fatto) per via biologica.
E' questa una novità di enorme interesse, perchè fino ad oggi si era ritenuto che solo il patrimonio genetico potesse essere trasmesso dai genitori per via ereditaria, e non l'esperienza da loro acquisita.
Trovo che si tratti di una chiave interpretativa nuova e assai interessante per comprendere i comportamenti dei cuccioloni, altrimenti non spiegabili.
Enrico Fenoaltea