A gennaio la stagione è al termine. In tutta la Toscana le battute si susseguono con ritmo incalzante, ma troviamo volentieri un’occasione per tornare a caccia con gli amici di Monteti. Ci troviamo nella più antica AFV di Capalbio che prende il nome dal colle che domina il paese alle sue spalle: Monteti. Quella di Monteti è una realtà compenetrata nella vita del paese: la strada che vi accede attraversa le ultime case del paese e durante le cacciate non è difficile sentire le canizze stando seduti su una panchina della piazza principale.
La battuta odierna, detta Il Felciaio, non è stata mai fatta in questa stagione (a parte una fugace passata a novembre prematuramente interrotta per le pessime condizioni metereologiche). Le poste oggi sono veramente tante, manca poco a cento! Anche i canai sono numerosi e tra tutti si contano circa centoventi cani.
“Questa battuta è molto grande e il territorio, vedrai, molto variegato” spiega Andrea mentre raggiungiamo in fuoristrada il punto di smistamento delle poste, “ci sono zone con bosco ad alto fusto, più giù una macchia fitta con scopi e corbezzoli, poi anche delle zone aperte sui campi”. Dalle sue parole s’intuisce la profonda conoscenza e il legame di Andrea con questo territorio. Lui, insieme a Mario e Tiziano, disporranno le poste, ognuno in una zona. Proprio in funzione dell’estesa superficie da battere, la sciolta dei cani avviene molto presto: prima delle nove del mattino si sentono già i primi abbai a fermo nei rogaioni sotto le nostre poste. Quando siamo arrivati, sentivamo distintamente i cinghiali grugnire nel fitto di quella macchia. Dopo pochi minuti di abbai violenti rivolti al muro di rovi, finalmente parte la prima canizza. L’inseguimento non dura molto: il cinghiale buca le poste e si porta dietro parecchi cani.
Lo sconforto viene prontamente rimpiazzato dal vigore di un nuovo abbaio a fermo. Ancora una canizza annuncia che il cinghiale ha lasciato la lestra. “Attentiii! Parate, parate che il cinghiale vuole venire giù!” urla Ringo [alias Massimo, ndr] dal fondo del fosso in cui sono rimasti i canai dopo la sciolta.
Le poste sono a vento cattivo, sicuramente il cinghiale ci ha avventati e, piuttosto che dirigersi verso il nostro fuoco, devia verso il basso e compie una circumnavigazione della battuta, riuscendo ad uscire dalla cacciata illeso, ma con dietro buona parte dei cani rimasti.
Il disappunto di Ringo, che tiene la regia della cacciata, non lascia spazio alla fantasia nelle parole snocciolate nella radio. I cani sono usciti dalla battuta dietro a due cinghiali nel giro di mezz’ora. Restano in cacciata solo pochi ausiliari, quasi tutti cuccioloni. “Come siamo messi, canai?” chiede per radio Ringo, con la voce tremante per la rabbia. “Quelli della prima canizza ce li ho a 2,5 km, questi di ora a 1,3 km” risponde Veleno, facendo eco con le sue bestemmie a quelle lanciate poco prima da Ringo, che conclude per radio “Quest’anno il Felciaio è maledetto!”.
“Orlando, tu hai sciolto?” riparte Ringo subito dopo, pieno di carica, “No, ho i cani nel carrello”. “Dai prendi i cani e cerca di andare a vedere sotto il rogaione dove c’erano prima i cani a fermo, di sicuro ci saranno altri animali!”. La regia di Massimo non ammette esitazione.
Nel momento di calma che precede la sciolta dei cani freschi, un grosso verro, che fino a quel momento aveva tenuto la lestra sotto il fuoco incrociato degli abbai dei maremmani, tenta di defilarsi sgattaiolando dal forteto verso le poste alla mia destra. Come spesso accade ai solenghi più forti e furbi, anche questo ha trovato una fine indegna: Stefano dalla posta alla mia destra, esplode un colpo. L’animale colpito non si ferma subito, e comincia a rotolare giù nel cuore della macchia. Lo troveranno i canai accorsi su un insistente abbaio a fermo.
Turbo e Scintilla vanno a dare man forte a Orlando nel cuore della macchia fitta, dove i pochi cani rimasti si soffermano in un abbaio a fermo non troppo convinto, come se si trattasse dell’usta degli animali sgusciati via.
I canai di Capalbio sono il prototipo del canaio maremmano: spesso vestiti con i tipici cosciali da buttero, in pelle di cavallino per far fronte alle insidiose spine di marruche, cavaocchi e stracciabraghe. Son muniti di doppiette e sovrapposti dalle canne corte e dai legni segnati dai rovi della fitta macchia, caricati quasi mai a piombo, salvo dover soccorrere uno dei propri ausiliari alle prese con le acuminate difese di un animale incattivito.
Mentre dalla nostra parte della battuta ci troviamo in stallo, in attesa che qualche cane rientri e scovi qualche altro animale, dalla parte delle poste degli “zoppi”, un verro scanato viene fermato da Mauro.
Dopo qualche minuto di noia davanti a noi sfila una canizza: corre parallela alle nostre poste, siamo tutti con le carabine imbracciate in preda a una febbrile tensione. Ognuno di noi, quando sente le voci dei maremmani tuonare, è convinto in cuor suo che è finalmente giunto il momento di un faccia a faccia con la bestia nera. Due poste alla mia sinistra una grossa scrofa viene fermata da Pacione (Simone, ndr), decretando la fine della braccata.
Le azioni di questa cacciata si sono susseguite senza una continuità, tra cani usciti di battuta e poi rientrati. Nonostante l’accurata cronaca di Ringo e di Andrea, non è stato semplice ricostruire le vicende di questa estesa cacciata, e così, giunti alla capanna, ci ritroviamo tutti un po’ stupiti, ma compiaciuti, del bel carniere odierno. A terra ben otto animali, di cui due splendidi verri: i verri del Felciaio.
Testo e foto di Vincenzo Frascino