L'agnello pasquale, che ci piaccia o no, non è un simbolo che appartiene solo ai cristiani (il sacrificio in realtà è un retaggio dell'ebraismo, trasposto nella religione cattolica a mo' di gesto eucaristico). Fa parte di quel tessuto di tradizioni familiari che molti di noi perpetuano ben volentieri, ben consci che un essere vivente nato e vissuto in allevamento completa il senso della sua esistenza in padella, a nostro uso e consumo.
Prima lo accetteremo, evitando deviazioni di comodo sul mondo vegetale (secondo quale principio la morte della radice e del germoglio sarebbe meno grave? Sicuri che non provino dolore?) o sugli animali adulti perchè ci fa sentire un pochino meglio, prima la smetteremo con i sensi di colpa. Mangiare agnelli non è giusto o sbagliato, è. E lo è prima di tutto per questioni pratiche. Non tutti gli agnelli possono diventare adulti. Abbiamo un gran bel numero di pecorini Dop di cui andiamo orgogliosi e un sacco di altri utilizzi del latte di capra e di pecora. E se gli ovini, come i bovini, devono produrre tanto latte per noi, non ne resta poi molto per agnelli e vitelli. Ecco perché li mangiamo. Se si accetta questo principio, che fa parte delle nostre tradizioni popolari e campagnole, si accetta anche la famigerata mattanza degli agnelli.
Motivo in più, almeno per quest'anno, per finirla con le campagne animaliste, è la situazione in cui versano i tanti allevatori delle zone terremotate, che vedono nella vendita dei loro velli la speranza per risollevarsi almeno un po'. Coldiretti proprio in questi giorni ha lanciato la campagna #SalvaUnPastore invitando i cittadini a consumare agnelli, recuperando i piatti della transumanza tramandati da secoli (in Abruzzo agnello cacio e ova, il molisano agnello sotto il coppo, nel Lazio l’abbacchio alla scottadito) con l’effetto di consentire la sopravvivenza di un mestiere antico ricco di tradizione che consente la salvaguardia di razze in via di estinzione a vantaggio della biodiversità del territorio e permetterà, forse, di salvare il lavoro dei circa 4mila pastori terremotati che non hanno ancora abbandonato le aree colpite dal sisma di Lazio, Marche, Abruzzo e Umbria dove secondo la Coldiretti, solo nei 131 comuni del cratere, sono allevate 213mila pecore e capre.
Per coerenza la sorte degli agnellini dovrebbe essere presa in considerazione anche da coloro che rimangono indifferenti alle stragi del lupo. Sarà certo una morte più “naturale” ma non certo meno cruenta. Morire per mezzo di un macchinario che stordisce, realizzato sui principi del rispetto del "benessere animale", sicuramente su due piedi sembra meglio che perire a suon di morsi. Ma per il lupo, almeno in Italia, si sa, è sempre Pasqua.
Cinzia Funcis