Pasqua si avvicina e sento il bisogno di dire qualcosa sulle ultime “esternazioni” della politica di destra e di sinistra (ammesso che le queste categorie significhino ancora qualcosa).
Che Berlusconi si sia fatto riprendere e fotografare con l’agnellino non mi ha sorpreso più di tanto, dimmi chi frequenti (Brambilla) e ti dirò come la pensi. Mi ha invece turbato, e non poco, la trovata della presidentessa della Camera che ha portato gli agnelli a Montecitorio. Mi ha ricordato Caligola, l’imperatore romano che portava i cavalli al Senato, mostrandosi compassionevole con gli animali ma spietato con gli uomini. La motivazione di quei gesti è nel principio animalista secondo il quale occorre rispettare ogni vita, che ha una sua logica, se riferito agli esseri umani, ma diventa errato se applicato agli animali, in particolare a quelli allevati per la carne; tant’è che l’agnello intanto nasce, in quanto utile alla nostra alimentazione. Se ne facciano una ragione gli animalisti: se oggi esiste l’agnello è perché l’uomo ha avuto (ed ha) voglia di mangiarlo e nel corso dei millenni lo ha trasformato da selvatico in domestico. Questo processo evolutivo ha trasformato l’uomo da cacciatore in allevatore (si affrancava dalla ricerca spasmodica delle prede) permettendogli di avere una riserva di proteine animali chiuse in un recinto, sempre disponibili.
Gli animalisti non vogliono più che si consumi carne? Allora per paradosso, condanneranno all’estinzione le tante specie bovine, suine, ovine, caprine e equine, perché questo avverrebbe se tutti noi modificassimo le nostre abitudini alimentari. L’estinzione di queste specie “artificiali” sarebbe la logica conseguenza di una precisa scelta economica: nessuna domanda, nessun interesse ad allevarle, anche perché è piuttosto scomodo tenere a casa un montone o una pecora (gli agnellini questo diventano dopo pochi mesi!), un maiale, o peggio ancora un toro. Per questo trovo il segnale lanciato dalla Boldrini (adozione degli agnelli nella fattoria didattica) scorretto nei confronti di tutto il settore zootecnico. Altro errore che commette l’animalismo è l’accostare il sentimento di compassione all’animale, dimenticando che il concetto di pietas è qualcosa che attiene alla sfera umana e ai rapporti tra gli uomini e che questo concetto è sconosciuto nel mondo animale. Pensate a come un predatore divora la preda: se questa non può sottrarsi, generalmente viene dilaniata viva, in quanto i lamenti della preda non sortiscono alcun effetto sulla “umanità” predatore, che continua a sbranare la preda ancora viva! Quando la sopprime, lo fa solo per evitarne la fuga o per non attirare l’attenzione altrui. Ogni volta che gli animalisti si sforzano di interpretare un comportamento animale con codici umani, probabilmente sbagliano o fraintendono quel comportamento, spinti dal desiderio di antropomorfizzare i comportamenti degli animali. Diceva il filosofo Wittgenstein “se i leoni potessero parlare la nostra lingua, non li capiremmo”, perché diversi sono i loro codici comportamentali. E’ quindi sbagliato difendere le ragioni dell’animale non rispettando il loro punto di vista che forse neanche comprendiamo in quanto ragioniamo da umani: sostanzialmente gli animali sono mossi da istinto, mangiare, bere, accoppiarsi, non trasformiamoli necessariamente in un uomo minore.
Detto questo, lungi da me non provare affettività nei confronti degli animali, invito solo a guardare il rapporto uomo/animale nella giusta prospettiva ed il comportamento animale con codici “animali”; non applichiamo le nostre categorie dell’essere.
COME SIAMO ARRIVATI A TUTTO CIO’
Più una società diventa tecnologica o evoluta, più si allontana dal modello arcaico e dall’unione uomo/natura e, allontanandosi dai cicli naturali, non ne comprende più i codici: gli animali vengono idealizzati (il lupo della favola da cattivo diventa buono) e compatiti. Pensate cos’era la quotidianità nelle società rurali, per mangiare bisognava ammazzare l’animale. Oggi non ci imbrattiamo più di sangue la mani, abbiamo delegato ad altri questo compito (mattatoi) ed il nostro rapporto con il cibo, o meglio, con le proteine animali è praticamente asettico. Ciò non vuol dire che la nostra società è diventata, secondo gli animalisti, più “etica”, significa semplicemente che la società è meno rurale, gli urbani non rinunciano ai piaceri rurali soprattutto a quelli gastronomici. Eppure, proprio in questo modello di civiltà evoluta, ci sono ancora uomini che rivendicano il loro diritto ancestrale di mantenere vivo quel legame arcaico, che rivendicano il loro stile di vita che si perde nella notte dei tempi, quando l’uomo viveva “come un animale”: sono i cacciatori, i pescatori, i raccoglitori, le categorie oggi più vicine al mondo naturale e, incomprensibilmente, le più contrastate dall’animalismo. Oggi l’animalismo, con la complicità dei mass media sta influenzando sempre più capillarmente la società civile e, in maniera trasversale, la nostra classe politica. Combatte quegli stili di vita ancestrali. Chi scrive ricorda ancora un questionario su un libro delle elementari del proprio figlio ove veniva riportata, senza alcun motivo, la seguente domanda: “racconta perché sei contro la caccia” (dando per scontato che un bambino, uomo di domani, dovesse, per principio, essere contro l’attività venatoria). Ebbene quei semi dell’ideologia animalista, piantati anni ed anni fa stanno ormai portando i loro frutti.
A fronte di questa avanzata culturale, qual è la risposta dell’associazionismo di tutte le componenti rurali, caccia inclusa? NULLA! Non si registra una reazione, nessuno che contrastati efficacemente questo fenomeno di costume.
LE COLPE DELL’ASSOCIAZIONISMO RURALE E VENATORIO
Abbiamo una organizzazione, quella animalista che ha mezzi e risorse per strutturare una robusta e organizzata campagna mediatica, di contro l’associazionismo rurale o si presenta in ordine sparso o non prende alcuna posizione. Non vengono contrapposte argomentazioni a sostegno delle loro attività o passioni (e non credo che nelle loro fila non ci siano menti pensanti capaci di contrastare l’ideologia animalista e anticaccia). Le AA VV danno l’impressione, per chi osserva dall’esterno, di essere solo interessate all’accaparramento di tessere ed in questa competizione sono pronte a scagliarsi anche l’una contro l’altra. Visto questo teatrino dall’esterno fa venire in mente la scena descritta dal Manzoni dei capponi di Renzo che litigavano tra loro mentre venivano portati a morte certa.
COSA FARE
Ora più che mai c’è bisogno, prima che sia troppo tardi, che qualcuno “faccia sentire le ragioni del mondo rurale” che sappia contrastare l’animalismo con ragionamenti che abbiano solide basi scientifiche, filosofiche, culturali, storiche, sociali e in ultimo, ma non in ordine d’importanza, economiche. In particolare occorre al più presto individuare e rafforzare l’associazionismo ambientalista (non animalista) che non discrimina queste pratiche e che le giustifica culturalmente e che possa essere il portavoce dei valori positivi del mondo rurale.
PERCHE’ E’ NECESSIARIO DIFFONDERE ANCHE IN ITALIA LA FILOSOFIA WILDERNESS
Perché è l’unica ideologia ambientalista che non discrimina il cosiddetto mondo rurale, anzi, rifacendosi all’esempio americano, tutela i territori selvaggi nel rispetto delle tradizioni delle popolazioni rurali.
Le Aree Wilderness vennero concepite negli USA da Aldo Leopold https://en.wikipedia.org/wiki/Aldo_Leopold, il più grande ambientalista del 900 e fu una vera rivoluzione: non parchi nazionali ma luoghi da preservare integri per poter praticare passioni ancestrali (caccia, pesca, raccolta, canottaggio, trekking ecc). Fu una riappacificazione dell’uomo con la natura, un “tornare antichi”. Nelle aree wilderness l’uomo, pur esercitando i propri bisogni ancestrali si pone dei limiti (nessuna realizzazione di opere antropiche, nessun uso di mezzi meccanici ecc.). Oggi l’idea Wilderness si sta diffondendo sul Pianeta, è riconosciuta dalla classificazione sulle aree protette dell’ONU - IUCN https://www.iucn.org/theme/protected-areas/about/protected-areas-categories. Le aree wilderness sono scrigni di biodiversità, un modello di conservazione da contrapporre alla visione animalista, compatibile con tutte le attività di prelievo di risorse naturali rinnovabili. Colmiamo questo vuoto culturale, diamo al mondo venatorio una svolta conservazionista che possa riabilitare l’immagine del cacciatore agli occhi dell’opinione pubblica. Sul finire degli anni ’60 i cacciatori italiani furono i protagonisti della nascita Italia del WWF Italia, poi hanno perduto il treno. Ora è il momento di costruire qualcosa di grande insieme. Non perdete questa opportunità. www.wilderness.it
Giancarlo D’Aniello
Presidente di Wilderness Italia
Per comprendere la diversità tra un Parco ed un’area wilderness farò questo esempio: come dice il nostro segretario Franco Zunino “il parco è un luogo da visitare, l’area wilderness un luogo da vivere!”
Ndr: su questo tema domani, 15 aprile, su Io Donna, inserto del Corriere della Sera, con un focus su articolo sulle aree wilderness italiane. Si parlerà anche di caccia.