Ho conosciuto Simone a novembre scorso durante una battuta al cinghiale, e in quell’occasione ero rimasto colpito dalla sua solarità e, non di meno, dalle sue notevoli doti da cecchino. In quella braccata ebbe occasione di abbattere ben sei cinghiali! Siamo a fine gennaio. La stagione volge al termine. È con grande piacere che ricevo la telefonata di Simone con la quale, m’invita nell’azienda faunistico-venatoria Monteverdi, a Civitella Paganico, dove lui si occupa della gestione venatoria.
Siamo a nord di Grosseto, al confine col senese. Verdeggianti pianure che costeggiano l’Ombrone, dolci colline costellate di vigneti, macchie fitte, boschi ad alto fusto sui colli più alti, offrono un panorama veramente incantevole e variegato.
All’appuntamento delle otto del mattino accorriamo quasi tutti puntuali: gli invitati di Simone si raccolgono volentieri accanto al grande camino della casa di caccia.
I partecipanti alla battuta di oggi non fanno parte di un’unica squadra, ma sono accomunati dall’amicizia, più o meno diretta, con Simone. La sua idea di caccia è, infatti, molto particolare: per lui la caccia al cinghiale in braccata è un’occasione di aggregazione, di condivisione e scambio. Nelle cacciate da lui organizzate, invita volentieri i suoi amici e amici di amici, in un caleidoscopico intreccio di conoscenze sempre nuove e contatti che permettono a tutti, e a Simone in primis, di conoscere nuove persone e ampliare le occasioni di caccia e gli orizzonti geografici e culturali.
La legna viene messa sul fuoco di frequente, ma il freddo non demorde. Qualcuno tira fuori dal tascapane qualche fegatello per colazione: certo che alle otto del mattino ci vuol…fegato!
Siamo arrivati tutti: quarantaquattro poste e una decina di canai.
Simone raduna tutti intorno e ci spiega la battuta. Il suo discorso è costellato di puntualizzazioni: l’assenza di pioggia delle ultime settimane e il ghiaccio che incrosta le sponde del fiume in questi giorni, non sono certo i presupposti migliori per un’efficace tracciatura degli animali!
Una volta stabilita la strategia, Simone manda via i paratori e i canai e si avvia per sistemare due gruppi di poste: alcuni andranno nei campi, altri scenderanno nella macchia in direzione del fiume.
Io e pochi altri partiamo dal basso, dal livello dell’Ombrone, risaliamo verso l’alto, scolliniamo e andiamo praticamente a ricongiungerci con le poste scese dall’altro versante della macchia guidate da Simone.
Passando davanti alla mia posta, Simone mi dice: “Vincenzo, tu devi coprire i due trottoi che vengono giù dal lato destro del fosso. Sul lato sinistro c’è un’altra posta. Da qui non puoi vederla ma se guardi bene puoi intravedere qualche puntino arancio del giacchetto” e con una pacca sulla spalla mi saluta, sperando in cuor suo (si legge nello sguardo) che questa posta mi porti fortuna e mi faccia divertire.
Come prima cosa mi guardo intorno, individuo i trottoi ben battuti e studio i possibili angoli di tiro. La mia visuale è abbastanza scarsa. Per rendere più profondo e largo lo strappo nella macchia comincio a lavorare col seghetto portando via rami e arbusti. Fabrizio, alla mia destra, sta completando la stessa operazione a poco più di dieci metri da me.
Completata la disposizione delle poste Simone dà il via ai canai per la sciolta degli ausiliari
e dirige via radio la braccata.
Ai primi scagni il cuore salta in gola al suono degli zoccoli di due caprioli. Alla vista dei culi bianchi la tensione cala per un attimo.
“Fabio! Patrizio! Mi raccomando: fate bene nel tagliatooo!”- incita per radio i canai. Simone non fa nemmeno in tempo a lasciare il pulsante dell’auricolare che proprio lì, in un tagliato di un paio d'anni, i cani iniziano ad abbaiare a fermo. “Rimanete in linea e fatevi sentire!” urla per radio Simone, affinché i cinghiali non buchino la linea dei canai. “Attenti posteee! È partitoo!”.
All’avvicinarsi della canizza allontano l'auricolare dall'orecchio pronto a carpire ogni minimo segnale dell’arrivo del cinghiale. Il dito indice di Fabrizio “bussa” sul punto dal quale ha certamente sentito provenire un rumore.
Il cinghiale sta percorrendo il fosso verso di noi. Prima di entrare nel nostro campo visivo decide però di attraversare il fosso e procedere sull’altro versante, uscendo quindi dalla nostra traiettoria. Sul versante sinistro del fosso intravedo tra i rami la mole di un grosso cinghiale. Si ferma. Avanza per pochi metri. Si riferma.
Il mio punto rosso accompagna i movimenti dell'animale sempre fisso sul suo tronco. Potrei sparargli in qualsiasi momento ma mi sovvengono le parole di Simone: “Quello alla tua sinistra è un passo obbligato che porta dritto in bocca alla posta che si trova di là del fosso”. Perciò desisto, e decido di non sparare, lasciando al mio vicino di posta l'opportunità di approfittare di questa ghiotta occasione.
Il cinghiale dovrà necessariamente passare da lì e un tiro da parte mia sarebbe un gesto quantomeno poco corretto.
Due colpi ravvicinati fermano la corsa che il cinghiale si era appena prestato a intraprendere appena uscito allo scoperto. Il grosso animale rotola giù nel fosso, confermando l'impressione che avevo avuto al primo sguardo: si tratta davvero di un bel verro!
Poco dopo sopraggiungono i cani, a mordere le spoglie della loro preda. Lasciamo loro il tempo di qualche mordicchiata di soddisfazione e li rimandiamo subito in battuta.
“Attenti all’Ombroneee!” urlano per radio i canai. Una canizza vien giù come una valanga e scende tempestosa verso le sponde del fiume. Qualche centinaio di metri sopra, ci sarà ad attenderli Simone che, con la sua carabina dotata di ottica da battuta, con cinque colpi ravvicinati ferma due dei tre animali che tentavano nella loro disperata fuga di attraversare l’Ombrone.
In quest’atmosfera concitata un'altra canizza si dirige verso di noi costeggiando il lato sinistro del fosso che presidiamo. “Sono quattro animali!” urla qualcuno per radio. Il branchetto viene giù lungo il fosso. Nel frattempo il vento è cambiato. Ora lo abbiamo alle nostre spalle. Non c’è storia: la nostra presenza viene avventata dal loro infallibile grifo. Il branco s’inchioda, i cani sulle loro tracce fanno lo stesso, trasformando i loro abbai da seguita ad abbaio a fermo.
Si sente guaire i cani caricati dai cinghiali, che partono nella direzione opposta, verso sinistra, scordonando tutte le poste.
Le carabine delle poste nella macchia tuonano invano, e il branchetto supera indenne la vegetazione fitta ma, una volta giunti nei campi, i quattro animali incontrano il fuoco dell’altra fila di poste ad attenderli e a porre fine alla loro corsa.
L’atmosfera è incandescente: le canizze che tuonano nella macchia, le urla e i colpi a salve di paratori e canai, i rombi delle carabine su nei campi…una vera musica per le orecchie di un cinghialaio! Dopo molti momenti emozionanti intervallati da altri via via sempre più calmi, arriva quel momento della battuta che ciascuno vorrebbe procrastinare il più possibile: quello in cui s’iniziano a sentire le voci dei canai, non dall’auricolare, ma direttamente dalla macchia. Significa che i conduttori nella loro avanzata sono arrivati in prossimità della linea delle poste, hanno battuto la zona e la cacciata volge al termine. In quella circostanza l’adrenalina cala, ci si distrae un po’, si abbassa la guardia.
Ed è proprio in quel momento che un rumore di zoccoli in corsa attrae la nostra attenzione: diamo quasi per scontato che si tratti di un capriolo. Ci giriamo in direzione del rumore alle nostre spalle: un cinghiale sta arrivando di corsa verso di noi! Quando si trova faccia a faccia con Fabrizio, l’animale devia repentino verso il fosso e in quello stesso istante Fabrizio esplode un colpo dalla sua 9,3x62. La palla colpisce l’animale all’altezza dei reni, ma non arresta la sua corsa. In preda all’adrenalina il cinghiale tenta di risalire il fosso sull’altro versante, ma non ci riesce. Quindi torna sul fondo del fosso e lo percorre verso sinistra, delineando una specie di ferro di cavallo, la cui traiettoria finisce direttamente davanti alla posta accanto a Fabrizio, che con un “frontino” pone fine alla corsa dell’animale, mentre due cani in canizza accorrono da lontano sulla scrofa ormai esanime.
Fin dai primi sforzi messi in atto per il laborioso recupero dei nove animali abbattuti, e poi dopo, alla casa di caccia, un aspetto mi colpisce particolarmente di questa giornata: molti dei convenuti oggi in battuta non si erano mai visti né conosciuti prima. Eppure, osservando il clima di collaborazione, goliardia e disponibilità che regna, a vederci dal di fuori, sembriamo una squadra affiatata di vecchia data. È proprio questa la magia della caccia in braccata: aver condiviso una giornata così intensa, con tante emozioni e colpi di scena ha fatto si che per un giorno, tanti “estranei” abbiano magicamente costituito una squadra, coesa ed efficiente, unita da una grande passione senza confini.
Foto e testo di Vincenzo Frascino