Per fortuna non mi chiamo Nazareno, altrimenti chissà che trio avremmo fatto con i miei amici Pietro e Paolo! Eh! Si, ogni tanto ho una crisi mistico-religiosa ed organizzo una battuta con i due apostoli seguendo sempre gli insegnamenti di Sant’Humberto. Pietro è il mio fedelissimo compagno di mille avventure, Paolo invece è stato l’ultimo ad iscriversi al nostro club virtuale no-profit: “Gli amici della canna rigata”. Paolo era stato messo in guardia dalla moglie (perdonami ancora, Rossella!)) e dai nostri comuni amici del rischio che correva a frequentarmi e, come mi confidò in seguito, neanche lui avrebbe mai immaginato quanto potesse essere forte e coinvolgente la passione per la caccia a palla. A fargli dimenticare la pesca, la barca, il tennis e le partite di calcetto, è stato sufficiente invitarlo a qualche battuta al cinghiale e fargli abbattere un paio di caprioli. Ma per convertirlo definitivamente alla nuova “religione” dovevo fargli abbattere un bel daino e magari anche un camoscio. Purtroppo per far guadagnare a Paolo un buon trofeo, visto che non è un selecontrollore, avrei dovuto portarlo in un’azienda faunistica faunistica, così mi sembrò fin troppo logico programmare una bella gita nella Tenuta del Fantone di Murci – Scansano (GR), gestita dal carissimo amico Loredano Sedicini.
Una bella mattina d’ottobre (ma data l’ora antelucana, sarebbe stato meglio definirla una limpida notte), per il piccolo borgo toscano partimmo in tre: io in veste d’organizzatore, “preparatore atletico”, accompagnatore ed eventualmente anche recuperatore con tanto di jagd terrier al seguito, Paolo come cacciatore protagonista e Pietro, che immancabilmente non si tira mai indietro quando c’è da tirare un colpo di carabina. Pietro si autoinvita sempre ad ogni battuta con la solita scusa: “Mi serve un po’ di carne per fare una cena con gli amici! Lo sai che non mi fido di quello che vendono i supermercati”. Come dargli torto? Effettivamente credo che la “mucca pazza” e l’aviaria abbiano dato una fortissima impennata al consumo di carne di selvaggina! Io, indipendentemente se vado a caccia in un recinto di trenta ettari o in una sperduta montagna dell’Asia centrale, cerco sempre di farlo con serietà ed impegno. Quindi controllai che tutti fossero in completo verde o mimetico e raggiungemmo l’appostamento un’ora prima del sorgere del sole, silenziosi come gatti e con le armi già imbracciate scariche, ma con i colpi nei serbatoi. Non ho mai accompagnato dei cacciatori che avevano più passione per il letto ed il cuscino che per la caccia.
Dopo una piacevole camminata di una decina di minuti, occupammo due altane soprelevate distanti tra loro alcune centinaia di metri. Paolo ed io salimmo sopra ad una, mentre Pietro con Loredano sopra ad un’altra. Non c’era ancora luce a sufficienza per vedere se nel campo antistante la nostra postazione ci fossero degli animali, ma ipotizzai che tramite “radio macchia” la nostra presenza fosse già stata segnalata a tutti gli abitanti del bosco. Jack, il mio jagd terrier, aveva il pelo, corto e ruvido, dritto per l’eccitazione. Lo legai vicino agli zaini e pregai che se ne stesse zitto e buono, almeno come avremmo dovuti starci anche noi. Poi misi mano all' 8 x 42. Se un binocolo è di buona qualità lo si vede da come si comporta in quelle condizioni. Ad occhio nudo non riuscivo a definire neanche il perimetro della radura, mentre con questo riuscivo persino a distinguere tutte le ombre che c’erano nel mezzo. Intorno alla salina identificai sei animali e dalle loro forme sospettai che fossero tutti daini “calvi” (senza palchi), femmine o maschietti dell’anno. L’indicai anche all’eccitatissimo Paolo e persino Jack doveva aver percepito la loro presenza perché tremava come se avesse freddo! A proposito, soltanto chi possiede uno jagd terrier o una razza simile può capire di cosa sono capaci quei piccoli diavoli. Sono eccezionali; hanno un qualcosa di misterioso, non riesci mai a capire cosa gli passa per la testa. Il mio ad esempio, quando vede un’animale, uno qualsiasi, anche domestico (mucche e cavalli inclusi), deve subito attaccarlo senza apparente motivo, come se l’istinto di aggredirlo fosse più forte di lui! Poi magari è capace di stare a guardarti attraverso la rete del canile, con i suoi imperturbabili occhi nocciola scuro, per ore ed ore senza abbaiare né agitarsi. Gli jagd sono grandissimi cani “tuttofare”, instancabili lavoratori, coraggiosissimi, molto ubbidienti ed estremamente seri, caratteristiche che apprezzo moltissimo in un ausiliare.
Chiusa questa piccola parentesi, dovuta essenzialmente all’entusiasmo con cui allevo il giovane Jack, ritorniamo alla nostra caccia. Non era neanche “l’ora della beccaccia” che in lontananza tuonò l’8 x 68 di Pietro. Un colpo solo, buon segno. Paolo mi guardò con un’espressione interrogativa ed io gli risposi semplicemente sorridendo ed annuendo. Conoscendo bene “l’apostolo” Pietro, non avevo alcun dubbio sull’esito di quel colpo e sul fatto che prima di pranzo avrei dovuto dedicarmi al trattamento della spoglia di un grosso selvatico. Ad un tratto Paolo mi diede una gomitata che per poco non m’incrinò un paio di costole! Alla faccia del medico di ghiaccio, era agitatissimo. Portai il binocolo agli occhi ed immediatamente capii il perché del suo stato d’animo. Un meraviglioso palancone nero come il carbone era appena uscito dal bosco, apparentemente indeciso sul da farsi. Il grosso e nobile animale lo sapeva che da quelle parti avrebbe potuto esserci una carabina in agguato, così non si fidò di attraversare la radura. Si limitò a brucare ai margini confondendosi con le ombre. Incrociai lo sguardo con Paolo ed annuii. Lui, con gesti lenti ma precisi, imbracciò la sua bella Browning European calibro 7 mm Remington Magnum e ne fece sporgere la lunga canna fuori dall’altana. Rilevai la distanza: 135 metri esatti. Se Paolo non si fosse fatto prendere dall’emozione, mi sarei aspettato un abbattimento netto e pulito, anche perché la sua “sette” aveva in camera una mia ricarica (palla Nosler Partition da 160 grani, spinta da 65 grani di VihtaVuori N 160 ed inneschi CCI 250 M) che non aveva mai fatto feriti. Nel silenzio ovattato sentii Paolo che iperventilava, vidi la carabina perfettamente immobile, mi aspettavo solo il click dello stecher per concentrarmi meglio sul selvatico, quando invece rimbombò un’imprecazione. Inspiegabilmente, veloce e silenzioso com’era arrivato, “nerone” stava rientrando nel folto. A quel punto anch’io ruppi il codice del silenzio: “Non sparare! Non devi mai sparare ad un animale in movimento!”.
Aspettammo alcuni interminabili minuti, io con il binocolo incollato agli occhi e Paolo chino sul calcio della carabina, ma del grosso daino non vedemmo più traccia. Il mio compagno di caccia aveva un’espressione come se avesse appena saputo che la suocera andava a trasferirsi da lui. Io, invece, ero tranquillissimo. Non era ancora sorto il sole e già avevamo avvistato un discreto numero di animali. Ero abbastanza fiducioso. A conferma del mio ottimismo, nel giro di un’ora, davanti alla nostra posta transitarono parecchi selvatici: un bel branco di mufloni, qualche fusone di daino ed un paio di balestroni, ma purtroppo niente che rientrava nei nostri desideri venatori.
Fu soltanto verso le otto che all’interno del bosco intravidi una grossa sagoma pomellata. Aguzzando l’udito potevo addirittura sentire il suo trofeo urtare i rami, mentre avidamente ne brucava le foglie. Toccò a me dare una gomitata a Paolo, mentre contemporaneamente gli indicavo dove guardare. Lui, col suo vecchio, ma sempre validissimo 7 x 42 individuò il daino facilmente, ma non riuscì a vedere il trofeo. Purtroppo il daino era quasi completamente coperto dalla vegetazione. Io, sfruttando i maggiori ingrandimenti del mio binocolo, e sapendo di preciso dove guardare, capii all’istante che quello era proprio il capo che stavamo cercando. “E’ un bel palancone” Gli sussurrai: “Tirabile. Guarda se trovi un varco nella vegetazione dove far passare la palla”. Sempre col binocolo agli occhi lanciai l’impulso laser e nel led luminoso comparve il numero 154. Comunicai la distanza a Paolo proprio mentre si metteva in punteria e toglieva la sicura. Il click dello stecher mi sembrò talmente forte che sospettai l’avesse udito anche il daino! Rimanemmo alcuni secondi in paziente attesa che la possente spalla del selvatico comparisse nitida nel reticolo del suo 6 x 42. Poi, nel preciso istante che io stesso avrei scelto per sparare, partì il colpo.
Il daino, colpito nel punto giusto s’impennò come se avesse ricevuto uno schiaffo sul posteriore e poi sparì nel bosco. Dentro di me scommisi che non avrebbe percorso più di trenta metri. Paolo nel frattempo, fedele ai miei insegnamenti, estrasse la cartuccia sparata, se la mise in tasca e ne camerò una carica. Dato che nessuno di noi due fumava, non aspettammo che finisse la canonica sigaretta, ma ci lanciammo subito sulle tracce del daino. Vinsi la scommessa perché Jack lo trovò e lo azzannò quasi subito, una decina di metri da dov’era stato colpito dalla potente palla. Devo ammettere che anche se il dott. Paolo è un urologo, la sua precisione fu veramente “chirurgica”! La giornata era splendida e fare il Weidmannsheil e scattare un rullino di foto fu un piacere. Nella tasca della mia camicia il cellulare vibrò e senza neanche guardare il display sapevo già chi era a chiamarmi. Pietro, l’altro “apostolo”, smaniava dalla voglia di conoscere l’esito del nostro sparo ed anche di raccontarci la sua avventura. Non si fece pregare per descriverci come aveva abbattuto un discreto balestrone. Sostenne addirittura di avergli tirato da “lunga distanza”, quando dalla sua altana al massimo hai una visuale di un centinaio di metri!! Ci demmo appuntamento per ritrovarci tutti alla casa di caccia per scattare ancora alcune foto alla bella coppiola, poi il mio interesse tornò al caro Paolo: “E con questo bel daino hai fatto tre dei sei ungulati che compongono il “Grand Slam” italiano. Adesso ti manca il muflone, il cervo ed il camoscio. Quale vuoi tentare di fare per primo?” “Il camoscio!” Mi rispose senza pensarci due volte. Ci credereste se vi dico che appena un mese dopo Paolo ha abbattuto uno splendido maschio in alta Valsesia? Ma quella è un’altra storia, e chissà forse un giorno ve la racconterò. C’ero anch’io…
Marco Benecchi