Probabilmente molti di voi si sono persi l'attacco a un povero ristoratore della giornalista "quasi vegana" Giulia Innocenzi, che, forse per rimpinguare le vendite del suo libro anti carnivori, si è lamentata sui social per non aver trovato nemmeno un piatto senza ingredienti di origine animale in un agriturismo romano.
Il fatto, non si capisce nemmeno bene perchè, è finito su quotidiani di grande portata, trattato come fosse una denuncia contro chi lede i diritti civili universalmente riconosciuti. Ovviamente non sono mancate le critiche alla Innocenzi. Come quelle, più che condivisibili, fatte dal sito Braciamiancora, che semplicemente fa notare come nessun ristoratore sia tenuto a prevedere menù per gli obiettori della carne.
Ma c'è un altro punto che sfugge. C'è chi non ha scelta: ha malattie o allergie che determinano la sua dieta e nonostante ciò, civilmente e senza fare chiasso, non pretende, chiede. Possibilmente prima di accomodarsi al tavolo.
Ce lo spiega meglio un cittadino celiaco, Andrea Cocito, che sempre su facebook, in risposta alla Innocenzi e all'articolo linkato sopra, ha voluto dire la sua.
Io sono celiaco. Per davvero, non come quelli che si sono fatti la diagnosi da soli o come le sciacquette che mangiano la pasta senza glutine perché pensano faccia dimagrire o si digerisca meglio. Non l'ho scelto, non mi lamento in giro, non ne faccio una tragedia: è un fatto.
Se vado in un ristorante e trovo disponibilità a venire incontro a questa *mia* esigenza io *ringrazio*, se no lo capisco: in fondo se io sono celiaco sono cavoli miei, non del ristoratore.
E ribadisco: parliamo di una patologia.
Allora iniziamo a mettere ordine, delle due l'una:
- o classifichiamo il veganesimo (almeno l'essere vegani stretti, non dico i vegetariani) come una patologia, psichica ovviamente, e in questo caso divento più flessibile: tu ti fai curare (da uno psichiatra) e nel frattempo la società cerca di venirti incontro;
- oppure prendiamo il veganesimo per quello che è: una minchiata da fighetti benestanti, emotivamente immaturi e cresciuti in una società patologicamente viziata.
In questo secondo caso (che è ciò che penso: il veganesimo è un vezzo da ragazzini viziati) che ci sia gente che ha delle *pretese* su un vezzo depotenzia e umilia la necessità di chi ha una patologia vera e seria (che non è solo vero per la celiachia: è lo stesso per le allergie, per il diabete, per N altre esigenze di un regime alimentare specifico).
Se ci fate caso nei supermercati ormai il settore "alimenti senza glutine" è un tutt'uno con il settore "bio", quello "dietetico", quello "macrobiotico" e quello "vegano". E la cosa mi fa incazzare tanto, tanto, tanto.
Quindi ecco il sesto punto sfuggito al giornalista: ste seghe mentali sono offensive nei confronti di chi ha una esigenza alimentare specifica per motivi veri.
Andrea Cocito