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dic12 12/12/2017 11.16
Nel mio continuo girovagare per i boschi e per le montagne di mezza Europa ho sempre cercato di adattarmi alle usanze locali, soprattutto a quelle gastronomiche, ma purtroppo ancora non sono riuscito (e credo che non ci riuscirò mai!) a mangiare le frattaglie dei caprioli appena abbattuti lessate con cipolla e a bere un bel bicchiere di Kumis (latte acido di cavalla) o uno di grappa alle cinque del mattino! Per questo motivo a malincuore declinai l’offerta che mi fece Massimo, il guardiacaccia più giovane e scattante della meravigliosa riserva di Carcoforo Rimasco! Massimo, di diretta discendenza Walser, insistette parecchio perché sosteneva che un brindisi era sempre di buon auspicio, specialmente per la zona dove aveva intenzione di portarmi, sull’Alpe Gattè, al confine del Parco Nazionale Alta Valsesia. Mi confidò che era la terza volta che ci andava, e durante le prime due uscite i cacciatori che erano con lui avevano sempre sbagliato il camoscio. “Speriamo che il proverbio: non c’è due senza tre, sia sbagliato questa volta”, disse scolandosi il suo generoso bicchierino di grappa al mirtillo. Anche se a caccia sono abbastanza superstizioso, decisi di non rispondergli perché in quel periodo trascorrevo diverse ore la settimana al poligono e la mia Remington 700 BDL SS in acciaio inox e polimeri in calibro 270 Winchester sparava divinamente.
In tanti anni di caccia al camoscio non mi era mai capitato che, il dodici di novembre, non ci fosse sulle montagne neanche un filo di neve e che all’alba la temperatura fosse addirittura qualche grado sopra lo zero. Andare a caccia con un tempo come quello, indipendentemente da quale sarebbe stato l’esito della battuta, era veramente il massimo per me, abituato alla mite temperatura mediterranea. Per non accaldarci troppo lasciammo negli zaini il minimo indispensabile ed appena ci fu abbastanza luce, io, Massimo ed il caro Luca ci facemmo coraggio ed iniziammo la salita, sempre ripidissima e quindi immancabilmente “strappacuore”. Durante tutto il tragitto Massimo non fece soste. Non so se procedeva con quell’andatura per mettere alla prova la nostra resistenza fisica oppure perché effettivamente aveva fretta di raggiungere la zona di caccia, ma sta di fatto che in un’ora di marcia ci fermammo una sola volta per toglierci le maglie e per pochissimi minuti. Giunti a quota milleottocento metri, la nostra giovane guida mi ordinò di caricare la carabina e di mettere la cartuccia in canna. Bastò quella banalissima richiesta a farmi emozionare come un ragazzino.
Massimo camminava lentamente quasi senza far rumore, senza mai mettere un piede fuori posto e mantenendosi sempre una ventina di metri avanti a noi. Ad un tratto scorgemmo il profilo assolato di un vecchio rifugio, lui l’aggirò con circospezione e, come giunse all’angolo, si chinò subito e rimase immobile come un setter quando cade in ferma. Con un gesto della mano m’invito a raggiungerlo ma, al contempo, di fare pianissimo. Subito dietro la vecchissima costruzione in pietra c’erano sette camosci che pascolavano tranquilli. Erano a circa sessanta–settanta metri ed era la prima volta che avevo l’occasione di vederli da così vicino! Purtroppo quegli splendidi animali, tre femmine con altrettanti piccoli ed un bellissimo jarling, erano “tabù” per noi, così dovemmo accontentarci soltanto di ammirarli. Attraverso le limpide lenti del mio 8 x 30 WB, per le sue caratteristiche ottiche, meccaniche ed ergonomiche uno dei migliori binocoli da camosci in assoluto, vedevo persino il vento accarezzargli le folte pellicce e i fili d’erba pendergli dalle labbra. Massimo, attento a non disturbarli, aggirò in silenzio la spartana casetta e prese a perlustrare la zona circostante come se non ci fossero. In pochi minuti individuammo una trentina di capi, alcuni quasi a tiro di carabina, ma molti erano troppo lontani per poterli classificare con precisione col solo binocolo. Fu necessario ricorrere al “lungo” per fare una valutazione più accurata.
Con quel caldo, i maschi, anche se erano in pieno estro, si muovevano pochissimo e questo non ci aiutava di certo ad individuarli. Quei pochi che avvistammo se ne stavano sdraiati all’ombra senza nessuna apparente voglia di mangiare, di muoversi né tanto meno di contendersi le femmine. Stare a guardarli era piacevolissimo, ma il tempo passava e noi tre, purtroppo, non ne avevamo da perder, specialmente io che disponevo soltanto di due giorni di caccia. Dopo aver dato un’ennesima occhiata a cosa ci fosse nei pascoli, sulle rocce e tra i rododendri che ci circondavano, Massimo ci disse che sarebbe stato più saggio riprendere a salire.
Camminammo per una mezzora molto lentamente e sempre circondati dai camosci. Gli animali ci guardavano incuriositi, ma si mantenevano sempre a debita distanza. Avvistammo anche un paio di caprioli e il “Walser” mi chiese se ero intenzionato a spararne uno. “Di quelli ne ho anche troppi dietro casa!” gli risposi. Non lo ammetterebbe mai nessuno, ma quando si pratica la caccia alla cerca in compagnia si fa sempre a gara a chi riesce a vedere per primo il capo più bello. Con Massimo però era una lotta impari, lui li conosceva uno ad uno i camosci che popolavano quella splendida valletta, tanto che forse ad alcuni aveva anche dato un nome. Infatti non tardò molto che ce ne indicò tre sull’altro versante del canalone che stavamo percorrendo, sdraiati in un piccolo boschetto di larici. Posizionammo subito il lungo ed ecco che quei tre puntini neri si rivelarono come due femmine ed un piccolo. Massimo e Luca mi consigliarono di prepararmi perché “forse” nelle vicinanze “poteva esserci” anche un maschio. Non passarono neanche cinque minuti che puntualissimo arrivò anche lui. Era bellissimo, grosso, nero come il carbone ed incazzato proprio come piaceva a noi. Passò vicino alla femmina che stava da sola, l’annusò e poi gli si coricò accanto. Massimo mi guardò con un sorriso e disse che a quel punto dovevamo soltanto aver pazienza. “Quanta?” Gli risposi e lui, come a voler rigirare il coltello nella piaga, aggiunse che una volta un camoscio rimase sdraiato per più di cinque ore! Gran bella prospettiva pensai, ma mi trettenni dal dirlo. Da dove eravamo noi gli vedevamo soltanto la testa ed il collo e quindi di tentare il tiro non se ne parlò nemmeno. Tutti e tre avevamo ancora troppo vivo il ricordo di quando lo scorso anno, per esser stato troppo frettoloso, ferii un maschio che recuperammo soltanto il giorno dopo. Luca, estasiato da bel tempo, si distese a prendere il sole immerso nei suoi pensieri “imprenditoriali”, mentre Massimo, con gli occhi incollati allo suo inseparabile binocolo, non perdeva di vista il camoscio nemmeno per un istante. Al sottoscritto non rimase altro da fare che rassegnarsi ad aspettare e di prepararsi per quando si fosse presentata l’occasione per tirare. Col telemetro presi la distanza: 210 metri esatti, regolai i piedini del bipede all’altezza giusta, improvvisai anche un minimo d’appoggio posteriore e feci qualche imbracciatura di prova.
Noi e i camosci eravamo pressappoco alla stessa altezza e non c’era nessun vento laterale a disturbarci, insomma le condizioni erano perfette, peccato che il becco dei nostri desideri era un gran pigrone. Come è strana la vita, tante volte ho avuto difficoltà a prendere di mira i maschi in novembre perché non stavano mai fermi mentre quel giorno non sapevo come farlo muovere. A pensarci bene sono le situazioni come questa che contribuiscono a rendere unica e indimenticabile la caccia vera. Stando fermi sdraiati a ridosso di un provvidenziale gruppo di pietre, mi stava venendo persino fame. Era trascorsa più di un’ora da quando il camoscio si era sdraiato vicino alla femmina e le previsioni erano tutt’altro che rosee. Mi venne quasi il dubbio che forse battevamo il record d’attesa precedente! In lontananza, dovunque guardavamo, era tutto un brulicare di camosci, ma allora perché c’eravamo fossilizzati in quella posizione di stallo? Chiesi a Massimo di lasciar perdere quel camoscio e di tentare di accostarne un altro, ma lui non ne volle sapere. “Stai calmo che tra poco si alzerà, ed a quel punto toccherà a te fare il tuo dovere. Ricordi? Non c’è due senza tre!” Senza farmi vedere mi diedi una robusta “grattatina” nel punto giusto poi, tanto per passare il tempo, riprovai l’imbracciatura. Neanche quello fosse stato il segnale convenuto, la femmina si alzò pigra e cominciò a brucare. Il maschio la imitò quasi immediatamente. “Si è alzato! Si è alzato!” Disse Massimo con una punta di preoccupazione nella voce. “Ce l’ho” gli risposi. Dammi tu l’OK quando posso sparare”. Intanto sia la femmina sia il maschio presero a salire tra i larici, dirigendosi verso un tratto di sporco dove, se ci fossero arrivati, non li avremmo più avuti a tiro. Mi scappò un’imprecazione. Se ne vanno!
Seguivo i movimenti lenti del grosso camoscio direttamente attraverso l’ottica sulla carabina, con il sottile reticolo sempre posizionato sulla sua possente spalla. Come si fermò un’attimo, senza attendere il via dal Guardia sfiorai il grilletto. Il camoscio non accusò il colpo ma si girò di scatto di centottanta gradi, fece una piccola corsa e si rifugiò nel bosco. “E’ andato” disse Massimo. “E’ là tra i rododendri morto”, gli risposi io. Chi dei due aveva ragione? Per attraversare lo spazio che ci divideva dall’anschuss sarebbero trascorsi diversi minuti, quindi tanto valeva andare a vedere subito come stavano realmente le cose. Massimo ci anticipò di due lunghezze e quando io e Luca lo raggiungemmo, lui con l’alpenstock ci indicò una grossa spruzzata di sangue contro un cespuglio. Il camoscio era poco più avanti. L’avevo colpito un po’ dietro, ma le mie 270 Nosler Ballistic Tip da 130 grani fanno miracoli in casi come quello. Se avessi usato un altro tipo di palla non so se avrebbe provocato lo stesso effetto. Waidmannsheil!!
Quando vidi il camoscio adagiato nel cespuglio mi venne da pensare che assomigliava ad un cinghiale, grosso e nero com’era. Fummo tutti concordi nel ritenerlo veramente un capo eccezionale come mole. Doveva avere dai sette agli otto anni ed il trofeo non era niente d’eccezionale (96,45 punti), ma non avevo mai visto un camoscio così grande in vita mia. Quando lo pesammo alla casa di caccia fece salire l’ago della bilancia fino a quasi trenta chili completamente sviscerato. Ho già quattro di camosci naturalizzati nella mia Trophy Room e per mettere al muro anche il quinto avrei dovuto combattere (e sicuramente perdere) una bella battaglia con mia moglie, così decisi di scuoiarlo comunque intero perché volevo regalare la pelle a Mirco Mazzone, il noto preparatore di Molina di Malo, il vincitore della gara di Tassidermia di Longarone, che sicuramente ne avrebbe fatto buon uso. Guardai l’orologio e vidi che mancavano pochi minuti a mezzogiorno. Porgemmo l’ultimo pasto al grande signore dell’Alpe Gattè e scattai felicissimo le immancabili foto di rito. Poi mi venne un dubbio: un camoscio così grande c’entrerà nei nostri zaini? Mentre stavo studiando il modo per trasportarlo a valle senza rovinargli la folta pelliccia (peccato che per motivi legali-burocratici non potemmo scuoiarlo sul posto) Massimo mi sorprese con la sua richiesta: “Vi andrebbe una bella zuppa calda di fagioli?” Fu come chiedere ad un assetato se avesse voglia di una birra fresca. “Ne ho qualche scatola dentro al vecchio rifugio. Non ve lo avevo detto prima, ma il proprietario è un mio amico ed io ho la chiave!” Fu veramente il modo migliore per chiudere in bellezza quell’indimenticabile avventura.
Un saluto agli amici di Carcoforo Rimasco. Se Dio vorrà, spero di rivedervi tutti il prossimo anno.
Marco Benecchi
Tags:9 commenti finora...
Re: Il grande signore dell'Alpe Gattè UN CALOROSO BUONE FESTE A TUTTI VOI E ALLE VOSTRE SPLENDIDE FAMIGLIE.
Che il 2018 sia un anno ricco di "colpi"
Speriamo quasi tutti a segno!!!
Marco da Marco Benecchi a TUTTI
23/12/2017 18.17
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Re: Il grande signore dell'Alpe Gattè Auguri di Buon Natale al nostro Marco e a tutti i forumisti corretti. da bansberia
23/12/2017 14.54
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Re: Il grande signore dell'Alpe Gattè Cosa aspetta la redazione a cancellare i messaggi di simili cercatori di quattrini? da bansberia
20/12/2017 9.00
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Re: Il grande signore dell'Alpe Gattè Concordo sulla qualità delle palle NORMA, mentre non mi pronuncio su S&B e Brenneke, non avendole mai usate. Non concordo sul mandare a spasso il povero omino Lee. Ho lavorato parecchio su materiale di origine anglosassone e ogni tanto ho trovato problemi nell'arrontondare le conversioni delle tolleranze, operazione da fare raginando da meccanico e non da contabile. Lo shell holder di cui ho scritto è quello senza codolo per l'innescatore Lee, che trovo più comodo e sicuro dell'innescatore da pressa. Non ricordo il numero di quello che mi è stato suggerito (è in cantina e non ho voglia di scendere) ma va benissimo. Saluti da bansberia
19/12/2017 12.48
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Re: Il grande signore dell'Alpe Gattè Cominciamo dall'inizio. Col mandare il dipendente della LEE a cercar funghi e/o lumache. Poi passiamo oltre: Quasi TUTTI se non tutti i calibri Rimmed più comuni possono essere ricaricati con lo stesso Shell Holder RCBS n° 4 x calibri MAGNUM STANDARD (classe 300 WM e 375 HH) per intenderci o similare. Va meglio di quelli specifici x i singoli calibri Poi, per quanto riguarda le munizioni ORIGINALI in calibro 7 x 65 R, io non mi muovere dalle NORMA, La mia casa costruttrice Europea preferita, poi nell'ordine le Original Brenneke e le Sellier & Bellot. Che ultimamente hanno raggiunto un livello qualitativo elevatissimo Le RWS a me sono sempre piaciute poco, non tanto per il tipo di caricamento quanto per la scelta delle palle, che come ho già detto in moltissime altre occasioni, Tolte le vecchie TIG TUG e T Mantel le altre non mi piacciono. Molto semplice Sono puri gusti personali. Guarda ad esempio le S & B montano MOLTE palle di produzione statunitense, come le vecchie Bronze Point, le Sierra, e le magnifiche Nosler Partition I miei 7 x 65 R sono caricati con le Ballistic Tip da 150 grani, ma per il cervo uso l' 8 x 68... Semmai dovessi usare il 7 x 65 allora lo caricherei con delle Partition da 160 - 175 grani
Un caro saluto Marco da Marco B x Bansberia
19/12/2017 10.49
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Re: Il grande signore dell'Alpe Gattè Ciao Marco! Permettimo qualche domanda per consigliare un amico. Questi vorrebbe comprare un kipplauf (Blaser o Merkel) per cacciare prevalentemente capriolo e cervo, con camoscio occasionale. Gli ho suggerito il 7x65 R ma è riluttante all'idea di usare le RWS. Domanda: hai esperienza in questo calibro con: -Norma ci sono palle nuove ma non so come vanno sulla bestia -Hornady; sono perplesso perchè pur essendo fra le migliori americane di fabbrica non so se danno buona precisione in armi europee. Va detto che le Hornady 7x65R sono prodotte solo per il mercato europeo, e non sono vendute negli USA. Forse per problemi di dimensioni.Infatti, anni addietro acquistai attrezzi da ricarica per il 7x64 (dies RCBS e shell holder Lee). Dato che lo shell holder rifiutava i bossoli, scrissi alla Lee, che me ne suggerì un altro scusandosi per non poterlo spedire. Il gentile impiegato Lee spiegò che con le gli arrotondamenti delle trasformazioni da millimetri a pollici talvolta si finisce fuori tolleranza. Grazie per l'attenzione e in bocca al pechinese.
da bansberia
19/12/2017 8.27
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Re: Il grande signore dell'Alpe Gattè Ma il 270 win e' preciso?...
Pensa che in armeria me lo sconsigliarono... Mi dissero che dopo un pò di colpi, siccome era un calibro troppo veloce, la canna della carabina perdeva in precisione di parecchio...
Booo...
Saluti... da Paolo 79
18/12/2017 16.41
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Re: Il grande signore dell'Alpe Gattè La gita trascorsa insieme è stata una delle più belle... Peccato che non ho più avuto notizie di Gabriele "il cuoco". Perché fu lui l'autore del misfatto.. Che fine avrà fatto....
Ti saluta il Babbo. Buona M da Marco B x Bansberia
14/12/2017 14.03
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Re: Il grande signore dell'Alpe Gattè Weidmannsheil per l'abbattimento e per un bel racconto. Alle 5 del mattino la birra è ancor peggio della grappa. Per quanto riguarda le frattaglie, ricordo che una volta in Slovenia, alloggiati in un agriturismo (mi pare ci foste anche tu e tuo Papà), abbiamo consegnato in cucina due bei fegati di capriolo. Gli assassini sacrileghi li hanno buttati nel minestrone. Ho viaggiato in Paesi (es.: Iraq, Nigeria, Pakistan) disgraziati da ogni punto di vista, gastronomia compresa, ma quella sbobba ha battuto tutti. da bansberia
14/12/2017 10.40
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