Non certo sparare. Iniziamo subito col dirlo. Perchè, non si sa come perché, anche se qui è quasi impensabile tirare giù qualche storno, nonostante tutti i danni che fanno, qualcuno ci crede davvero – anche nel nostro mondo – che questo continuo parlare del lupo sia una mossa frutto di chissà quali trame oscure, che ha l'unico fine di puntare i fucili contro i lupi Colpa dei tanti titoli di giornale, che non sappiamo se per malafede o pura ignoranza, continuano a parlare di caccia al lupo, che tuttavia qualche danno alla selvaggina cacciabile lo fa (cinghiali, caprioli, piccoli di cervo, per esempio).
Nessuno, tra i tanti che si occupano concretamente del problema, lo ha mai nemmeno pensato. O quanto meno siamo ben lontani da un simile scenario. E certo nel Piano Lupo non c'è nessuna ipotesi aperta su questo punto. Sono ormai due–tre anni che tutto si è fermato di fronte alla sola possibilità di far abbattere qualche esemplare particolarmente pericoloso, non certo dai cacciatori ma da personale esperto, alle dipendenze o sotto il diretto controllo pubblico, semmai. A seguito di rigorose verifiche tecnico-scientifiche e solo in extrema ratio. Il Ministro Costa ha detto no a questa soluzione portata avanti da Trento, sollevando la questione sotto il profilo costituizionale (ma non ha spiegato a cosa allude) e di illegittimità rispetto alla normativa Habitat, che però prevede deroghe in questi casi limite ed infatti è applicata in altri Paesi Ue, senza troppi problemi.
Deroghe non significa deroghe alla caccia, come qualcuno fa finta di aver capito, ma eccezione al divieto assoluto di abbattere specie particolarmente protette, che è lo status del lupo e dell'orso.Così come del resto recitano le disposizioni approvate in Trentino Alto Adige. (Giunge voce che nel frattempo il Ministro si sia confrontato con l'assessore al ramo, e che il confronto continui).
I cacciatori possono e devono dire la loro su questo problema. Non tanto per trarne qualche beneficio, ma perché sono a tutti gli effetti dei gestori ambientali. Se una specie crea un disequilibrio, chi vive in campagna o frequenta i boschi, semplicemente se ne accorge. Ma potrebbe anche fare di più. In Francia per esempio, sono gli stessi cacciatori a dare una mano a tenere sotto controllo l'andamento del fenomeno. Il monitoraggio biologico di questa specie è stata affidata all'Ufficio Nazionale per la Caccia e la Fauna Selvatica (ONCFS), che si avvale di circa 3.500 corrispondenti su tutto il territorio nazionale.
Questa rete assicura il monitoraggio permanente della presenza delle specie sulla base di indici di presenza (prede selvagge o domestiche, impronte, osservazioni, fotografie, escrementi, peli, ululati). Questo monitoraggio si completa con lo studio genetico della popolazione, ottenuto da campioni biologici raccolti sul campo. Grazie a questi dati si è scoperto per esempio che nell'area della Margeride, zona sud occidentale a ridosso delle Alpi, la presenza del lupo non ha nulla a che fare con le popolazioni che si trovano nell'arco alpino italiano, solitamente osservate sul territorio francese. Le analisi genetiche suggeriscono che questi lupi discendano da popolazioni provenienti dal Baltico (qualcuno paventa importazioni e ripopolamneti).
Nella scorsa stagione, 2017 - 2018, grazie a tutti i dati raccolti la popolazione dei lupi francesi è stata stimata in circa 430 individui (intervallo di previsione: 387-477). ) Con un tasso di crescita annuale di quasi il 20%. Da noi, su un territorio ridotto, rispetto a quello francese, le stime vanno da 2.500 a 5.000 unità.
Dario Coluccia