E' con piacere che pubblichiamo integralmente il documento presentato da una rappresentanza dei giovani cacciatori dell'Umbria, facenti parte delle diverse associazioni venatorie presenti sul territorio, in occasione della recente manifestazione Capetav, di Bastia Umbra.
E' un documento, fresco e genuino, elaborato a seguito di una attenta riflessione corale, che denota la profonda passione, la competenza e la determinazione di questi ragazzi – che idealmente sono lo specchio della gioventù venatoria italiana – di fronte non solo ai problemi della caccia, ma che spazia fra le diverse questioni che ci riguardano, non ultima quella di un originale nuovo approccio ai rapporti con l'opinione pubblica e con la società della comunicazione.
E' un segnale inequivocabile che i dirigenti venatori e il popolo dei cacciatori tutti devono cogliere in tutta la sua complessità e a cui dare delle risposte adeguate, soprattutto per non disperdere quest'energia che è indispensabile per prefigurare un futuro. Ricordando che i giovani sono un patrimonio inestimabile e non ascoltarli sarebbe un errore clamoroso.
Ecco il documento:
E’ indiscutibile che in questi ultimi decenni il numero dei cacciatori abbia subito una flessione significativa con un ricambio generazionale molto basso e un progressivo invecchiamento della sua popolazione. Se è vero che qua e là si sono sentite grida di allarme, non ci sembra invece che sia ancora stata messa in atto una strategia complessiva di difesa del nostro sport-passione, che anzi seguita, da più versanti, ad essere bersaglio d'attacchi virulenti e di critiche feroci, sia da parte di alcuni esponenti politici che da parte dell’informazione pubblica e privata.
La causa principale che noi riteniamo tenga lontano i giovani dal nostro sport, o meglio dalla nostra passione, sia proprio il ruolo giocato dall’informazione monopolizzata dai cosiddetti “ambientalisti” ovvero “animalisti”. Perché ci sembra che essere contro la caccia sia ormai di moda da troppo tempo! Questa prospettiva va in tutti i modi ribaltata, realizzando un nuovo tipo di comunicazione sia internamente che esternamente alle associazioni venatorie, indirizzandola alla società civile affinché comprenda il grande valore sociale oltreché economico della caccia.
La crisi economica che attraversa il Paese si riflette naturalmente anche sui costi dell’esercizio della pratica venatoria. Dati recenti di uno studio della Federcaccia rilevano un costo medio pro capite annuo di 2500€, un’ enormità se si considerano gli stipendi attuali dei giovani, o meglio un paio di mensilità ammesso e non concesso che gli stessi abbiamo un’occupazione. Non a caso pochi sono i diciottenni che prendono la licenza di caccia se non ci sono i papà o i nonni alle spalle, ovvero gente che ha messo su famiglia e ha un lavoro stabile. Non è certo il solo fattore economico a tenere a distanza i giovani, ma in alcuni casi è determinante. I tentativi lodevoli di qualche associazione, anche a livello locale, di rateizzare i pagamenti non ha dato i frutti sperati.
Presi fra questa duplice tenaglia di uno sport “non più di moda”, - secondo alcuni (per usare un eufemismo) - e al tempo stesso costoso, abbiamo ritenuto che si possano individuare azioni utili in un quadro, che seppure fosco, lascia intravedere scorci di sereno e addirittura nuove opportunità.
Prima di tutto va ricostruito uno spirito unitario fra tutte le associazioni e fra quanti hanno a cuore il nostro sport-passione in merito a tutte quelle questioni sulle quali siamo d’accordo, a cominciare dal costruire un’ immagine positiva del cacciatore nel contesto sociale, diffondendo la tradizione e la cultura venatoria tra i giovani, al fine di concepire lo sport della caccia nel rispetto delle regole.
Un altro versante sul quale dobbiamo entrare decisamente in concorrenza con i verdi è quello ambientale, non a parole, ma con i fatti, interessandoci soprattutto dei piani urbanistici e territoriali. All’attività venatoria viene sempre più sottratto territorio per costruire strade magari non essenziali se non addirittura inutili, oppure vengono permesse continue parcellizzazioni del territorio con casotti, recinti di orti con l’obiettivo finale di costruire villette abusive e recinzioni che ostacolano anche la viabilità secondaria. Abbiamo anche le carte in regola per rivendicare la nostra partecipazione alla gestione dei parchi come le associazioni ambientalista lo sono negli ATC.
Alcune esperienze come quella concretizzatasi con la costituzione dell’U.P.A. a Castiglion del Lago e in zone limitrofe, potrebbero essere esportate in più parti d’Italia. In questa specifica circostanza il cacciatore riveste il ruolo di “sentinella dell’ambiente”. Questa funzione del cacciatore deve essere sempre più diffusa e sviluppata come accade ormai da tempo in altri paesi europei e soprattutto in Francia.
Rispetto alle politiche europee vanno esperite tutte quelle azioni affinché i diritti e i doveri siano pari in tutti gli stati. Con questo intendiamo sottolineare e sostenere che le specie cacciabili, i periodi di caccia e le “cacce tradizionali” siano viste in un’ottica diversa da quella fino ad oggi percepita e che è stata solo restrittiva e punitiva (vedi storno ecc.) A questi concetti si lega anche il principio del turismo venatorio, che non va demonizzato, anzi deve far riflettere, perché a qualche centinaio di chilometri di distanza, in paesi comunitari, ci sono molte più possibilità che nel nostro “stivale”. In un’ottica di eguaglianza dei diritti e dei doveri va riposta particolare attenzione anche al concetto di limite territoriale o regionale dell’esercizio venatorio. I calendari venatori e la tipologia di specie cacciabili non possono essere difformi al di là e al di qua di un confine regionale. Le specie cacciabili non mutano i loro comportamenti nel momento in cui oltrepassano un confine geografico regionale. Questo principio rappresenta soltanto un potenziale conflitto fra i cacciatori che appartengono a due territori naturalmente contigui seppure geograficamente distinti.
Esiste però anche qualche squarcio di luce che consente di intravedere orizzonti più lontani e che in questi ultimi anni è stato rappresentato dalla risorsa cinghiale e dagli altri ungulati a cominciare dal capriolo. Quest’ultimo ha aperto opportunità sconosciute con la caccia di selezione soprattutto nelle regioni appenniniche. Talune specie però, da risorse, non possono diventare problemi, soprattutto per quanto riguarda i danni all’agricoltura dovuti al cinghiale, il quale rischia di farci allontanare dal naturale alleato, cioè l’imprenditore agricolo, e rischia di creare conflittualità con le varie altre forme di caccia. Il concetto che deve prevalere nella caccia di selezione è quello di gestione del territorio e non di prelievo. Sarà poi naturale far recepire e quindi applicare tale principio a tutte le altre forme di caccia. Indubbiamente quella di selezione è la caccia che più affascina i giovani, ma anche la più costosa per le varie strumentazioni richieste.
Un’ultima riflessione che vogliamo fare è sulla legge 157/92 in vigore da ormai un ventennio. I tentativi di modificarla in un senso più equo per i cacciatori si sono rilevati controproducenti. Chiediamo quali mere strategie possano essere messe in atto per consentirci di godere della nostra passione. A tal proposito ci interessa sottolineare che molti dei cacciatori qui presenti, non certo noi giovani, hanno preso la licenza di caccia alla tenera, ma non prematura, età di sedici anni con il consenso del papà e del nonno. Molti di questi appassionati cacciatori detengono questa abilitazione all’esercizio venatorio da decenni, il ché vuol dire che oltre ad essere animati da una passione infinita hanno rispettato rigorosamente le regole. Perché ci si spaventa dunque di fronte a questa possibilità?