Cultura, cultura, e ancora cultura. Mai mi stancherò di ricordarlo. Di raccomandarlo. E' di questi giorni la costituzione dell'Accademia Faunistica Bergamasca, la prima in Lombardia, dicono, da parte dell'Amministrazione Provinciale di Bergamo. Sovrintenderà alla preparazione di aspiranti cacciatori alla caccia di selezione agli ungulati. Quello che in altre regioni d'Italia si fa da diversi anni. Quello che fa, direi da sempre, l'Uncza, l'Associazione dei Cacciatori di Zona Alpi fondata quasi mezzo secolo fa dalla Federcaccia. Mutuando le competenze in simbiosi con le realtà venatorie dell'Arco Alpino, dove dal Friuli alla Val d'Aosta al Piemonte alla Liguria, la caccia è sempre stata organizzata e gestita in maniera impeccabile. Dove l'anziano (il vecio) insegnava al giovane (il bocia). Dove faceva "scuola" la caccia della mitteleuropa, dove una gestione a livello comunale (la riserva, una specie di ATC ante litteram) disponeva gli accessi, le uscite, i piani di abbattimento. Per carità, nessuno è perfetto, ma la cultura e le tradizioni ancora pressochè integre dei nostri cacciatori di montagna sono il miglior biglietto da visita che la caccia italiana possa esibire. "Siete il nostro fiore all'occhiello" era solito dire Giacomo Rosini quando presenziava le assemblee annuali dell'Uncza. Prima di lui Caiati, dopo di lui gli altri che si sono succeduti nel testimoniarne la qualit. E non c'è dubbio che da loro, dai cacciatori della Zona Alpi, abbiamo tutti da imparare. Molto. Dalle decennali conferenze dove sistematicamente ricercatori e appassionati presentavano (e presentano) relazioni sulla realtà faunistica alpina, ai concorsi fotografici e ai benemeriti premi lettarari - occorre qui menzionare quello del Giugno del cacciatore di Castion Veronese, benedetto non a caso fin dalla sua prima edizione dal fondatore dell'Uncza Luigi Fabrello, e presieduto fra l'altro dal grande Mario Rigoni Stern - alle borse e ai premi di studio. Proprio in questi giorni, l'Uncza ha bandito il suo annuale concorso per l’assegnazione di due premi per tesi di laurea nei campi della biologia, etologia e gestione della fauna alpina e nell’ambito dei temi riguardanti la storia e l’evoluzione dell’attività venatoria, riferiti all’arco alpino italiano.
Ottima cosa, non c'è che dire. Chiunque, in altre parti d'Italia, promuove o promuoverà analoghe iniziative ha e avrà il merito di aver capito che la caccia la si sostiene anche con questo. Anzi, io direi, ma questo perdonatemi è il mio chiodo fisso, che se la nostra passione potrà contare su un futuro migliore dell'attuale, saranno proprio azioni di questo genere che ne faranno la differenza. Se possibile, integrate e arricchite ancor più di conoscenza, e proiettate in un contesto dinamico, attente all'oggi ma soprattutto nella consapevolezza di un domani che muta tumultuosamente.
La caccia, oggi, è ancora in grado di esprimere grandi valori positivi. Lo diciamo sempre: ormai è il cacciatore quasi in solitario che presidia il territorio, ne salvaguarda la residua integrità, svolge azione di volontariato a supporto - consistente - delle organizzazioni che ne sarebbero istituzionalmente preposte, ma che spesso da sole non sarebbero in grado di rispondere alle purtroppo mille emergenze causate da distrazioni incuria e infinita egoistica speculazione. E' il cacciatore che racchiude in sè conoscenze esperienze e comportamenti strettamente legati a un modo di vivere antico, rispettoso dei cicli naturali, degli avvicendamenti delle stagioni, del rapporto tragico ma ineluttabile fra tutti coloro che sono toccati dal miracolo della vita.
Un difetto, il grave difetto che abbiamo, è che queste nostre conoscenze, queste nostre consapevolezze, queste nostre clamorose verità, non siamo in grado di trasemetterle agli altri. A coloro che, ignari, figli del dio minore televisivo assiso sul pilastro del consumismo più sfrenato, cadono nell'imbroglio di quanti, Brambilla docet, per nascondere l'orrendo vuoto etico e morale nel quale vorrebbero farci precipitare, ci additano come unici colpevoli di una realtà che solo loro stanno rappresentando.
E allora - questo è il mio augurio natalizio, ai cacciatori, alla caccia e a tutti coloro a cui voglio bene - usciamo finalmente da quest'impasse, diamo seguito ovunque a una stagione di rinnovamento, di produzione diffusa di cultura della caccia, per la caccia e per i cacciatori. E, se possibile, alle discipline classiche in cui nessuno ci sopravanza, cerchiamo di aggiungere un po' di più di scienza dell'etica, di storia, di cultura (arte, letteratura) e diamo ai nostri nuovi - badate bene: nuovi, nuovi e preparati - dirigenti qualche strumento in più per capire la società che cambia, i suoi vizi, le sue virtù, il modo per interpretarla e innestarvi i nostri saperi, le nostre bellezze, i nostri valori. Giuliano Incerpi
P.S.
In questi giorni siamo freschi della notizia che è stato fatto un primo timido passo verso un coordinamento interassociativo che nel medio termine dovrebbe dare seguito a un più consistente processo di unificazione. Diamoci sotto. Superiamo le residue incrostazioni. Unifichiamo intanto almeno le linee di principio. mettiamo da parte gli egoismi. Anche il semplice sondaggio che Big Hunter ha voluto promuovere ci dice che i tempi sono maturi. I cacciatori, quelli veri, non ne vogliono più sapere di divisioni. Via, facciamo tutti uno sforzo. Buona parte della soluzione sta proprio lì. Siamo tutti cacciatori, ricordiamocelo.
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