Ha un nome italiano la cacciatrice americana resa celebre dal National Geographic. Giorgia Pellegrini è infatti una delle protagoniste di un bellissimo articolo dedicato all'esercito delle cacciatrici, in esaltante continua ascesa in tutto il mondo, e in particolare in America, dove raggiungono l'11% del totale della popolazione dei cacciatori, in tutto 13,7 milioni di persone. Ovvero un milione e mezzo di donne con lo schioppo, pari al doppio di tutti i cacciatori italiani, grossomodo.
La rivista naturalista più importante del mondo, in termini di tiratura e di diffusione, ma anche da un punto di vista anagrafico (c'è dal 1889), parla di lei e di altre giovani appassionate cacciatrici, elevandole ad icona di una caccia rinnovata, sensibile, consapevole e sostenibile. La tendenza è chiara: negli ultimi anni sempre più donne americane alla ricerca di un rapporto più significativo e coinvolgente con la natura, scoprono il mondo della caccia. Il numero delle donne cacciatrici, dice National Geographic, è salito del 25 per cento tra il 2006 e il 2011, dopo essersi mantenuto stabile per un decennio, secondo le statistiche del Census Bureau. Una crescita che si deve all'impegno fattivo dei dipartimenti statali, che hanno aperto delle scuole di caccia al femminile, offrendo alle donne un'occasione per apprendere nozioni teoriche e seguire e corsi pratici per testare le loro abilità con l'arco, con il fucile da caccia o con la carabina. Anche il mercato dei prodotti venatori si sta adeguando a questa novità: sempre più aziende propongono prodotti studiati per le cacciatrici, armi comprese.
Arriviamo alla nostra connazionale (anche se probabilmente italiana solo d'origine). Giorgia Pellegrini è una scrittrice e una conduttrice di programmi tv, recentemente ha scritto il libro Girl Hunter. Nel volume si racconta, attraverso l'esperienza diretta della Pellegrini, lo speciale rapporto con la caccia delle donne appassionate di cucina, alla ricerca di ingredienti sani e di prima qualità. La sua scelta non è certo una mera facciata. Basta andare sul suo canale Youtube (http://www.youtube.com/user/GPMGGirlHunter) per seguire le sue avventure e i suoi consigli su come trattare la selvaggina una volta cacciata.
"La caccia mi ha fatto capire – dice su National Geographic - che ci sono un sacco di passaggi prima che un pezzo di carne arrivi al nostro piatto". "Come uno chef alla ricerca delle migliori materie prime, ho voluto partecipare in prima persona a questo processo, perché rende l'esperienza più significativa”. Procurarsi da sola gli animali che poi cucina le permette di avere anche il controllo su come l'animale sia stato trattato. “A caccia – dice - cerco ingredienti che sono legati alle stagioni e a determinati luoghi”. E' la tendenza ad un ritorno a quel tipo di cibo che una volta veniva servito nelle trattorie e nelle case dalle massaie, oggi nonne, e che sopravvive grazie ad artigiani culinari, che come Mrs Pellegrini (e come tutti i cacciatori), fanno la scelta di procurasi il cibo che desiderano mangiare.
Insomma, se la caccia non è più un fatto di genere, la cucina tendenzialmente continua ad esserlo. Le donne, sempre secondo il laboratorio di statistica americano, dominano ancora le decisioni alimentari delle famiglie. Nel 2012 un sondaggio ha rilevato che circa i due terzi delle donne sono coinvolte nella quotidiana preparazione di cibo contro un 39 per cento degli uomini e che le donne spendono il triplo della quantità di tempo in media ogni giorno in cucina e nelle faccende. La caccia rientra nella gamma delle scelte alimentari eco sostenibili. La filosofia del consumo di prodotti a Km 0 (anche quella è stata inventata da noi italiani, grazie all'idea del grande Carlo Petrini e della sua Slow Food), ha convinto tantissime donne americane e le ha indirizzate anche verso la selvaggina. Del resto cosa c'è di più sostenibile di un animale allevato dalla natura? La maggior parte delle carni vendute in America, sottolinea la rivista, proviene da allevamenti intensivi. La caccia offre un'alternativa a quei prodotti e lascia alle donne la possibilità di accertarsi che i loro piatti contengano vera carne biologica, ruspante e sanissima.
"La caccia può essere la prossima frontiera del cibo locale", dice Lily Raff Mc Caulou, un'altra cacciatrice, che vive in Oregon, anche lei autrice di un libro sul tema (Call of the mild–Learning to hunt my own dinner). Lei caccia regolarmente cervi e alci, grouse e anatre. "Ero abbastanza distaccata – racconta su National Geographic - da quello che mangiavo prima di iniziare a cacciare. Da quando ho cominciato a cacciare ho cambiato il mio rapporto con la carne. Ne mangio molta meno di prima ma a caccia ho trovato un modo per recuperare il contatto con la catena alimentare”.
E se non bastasse, c'è dell'altro. Il cibo è importante, ma un altro aspetto fondamentale, che rivendicano queste cacciatrici, è quel senso di intimità e di rispetto che si instaura con gli animali e con gli habitat che li ospitano. Quella connessione speciale che fa sentire i cacciatori molto più ambientalisti degli ambientalisti. Ne sa qualcosa Tovar Cerulli (uomo, in questo caso, anche qui l'origine italiana è lampante), che ha scritto un libro (The Mindful Carnivore: A Vegetarian’s Hunt for Sustenance) per raccontare la sua conversione da vegetariano convinto a cacciatore. La sua è stata una scelta etica: ha deciso che mangiare la carne che poteva procurarsi da solo sarebbe stata una scelta più onesta e più sostenibile. Proprio quello che fece alcuni anni fa l'ideatore di Facebook, Mark Zuckemberg, finendo su tutti i giornali perchè aveva dichiarato pubblicamente che da allora in avanti avrebbe ucciso lui stesso ogni animale che avesse mangiato. Su National Geographic infine si fa notare un'altra sacrosanta verità, valida anche per l'Italia, ovvero che è grazie ai fondi provenienti dalle tasse sulle licenze venatorie e sulla vendita di attrezzature, che è possibile sostenere economicamente gli sforzi di conservazione per una grande varietà di specie e habitat. In America questi soldi ammontano a quasi 200 milioni di dollari ogni anno, spesi concretamente nei programmi di gestione della fauna selvatica, per l'acquisto di terreni per la conservazione degli habitat e per l'istruzione e l'aggiornamento dei cacciatori. Sono tanti anche quelli che dalle tasse dei cacciatori italiani passano (o dovrebbero passare) a importanti azioni di tutela. E poi ci si lamenta se qualche migliaia di euro viene utilizzato per ricerche sulla fauna cacciabile! Cinzia Funcis Di seguito il video-promo del libro Girl Hunter di Giorgia Pellegrini
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