Antichi paesaggi bucolici, verdi vallate, mulini e case di campagna pullulano nelle pubblicità dei grandi produttori alimentari. Cercano di venderci un'immagine stereotipata ben precisa: i loro prodotti amano la natura e rispettano le tradizioni. Peccato che ogni tanto, spesso, a volte, sia tutto il contrario.
Se ne parla molto poco ma è proprio la produzione agroalimentare a danneggiare maggiormente il mondo e le sue risorse. Entro il 2050 sulla terra ci saranno 9 miliardi di bocche da sfamare. Il nostro crescente bisogno di cibo (e la nostra abitudine a sprecarlo) è, al momento, la prima minaccia per l'ambiente. Già perchè è l'agricoltura, insieme all'allevamento degli animali da carne, ad inquinare e disboscare di più, in parallelo al cemento e alle automobili.
A dirlo sono i dati sulle emissioni di gas serra, le analisi delle acque di laghi e fiumi, l'evidenza dell'abnorme consumo di acqua dolce per l'irrigazione, l'avanzare del disboscamento a danno degli ambienti tipici. E' così che interi habitat vengono devastati, è così che, di conseguenza, si perde biodiversità. L'Italia, secondo una recente indagine di Greenpeace sulla moria delle api in Europa, ha poi il primato sulla più ampia gamma di molecole contaminanti nei pollini, specialmente in prossimità dei vigneti. L'indagine ha accertato una diffusa contaminazione agrochimica nel polline (due terzi risultano velenosi), ciò di cui si nutrono le api e altri insetti impollinatori. La loro progressiva distruzione può essere la causa di una crisi a catena di tutto l'ecosistema, e della sicura scomparsa di specie vegetali e animali. Di qui l'appello alla Commissione europea e ai governi nazionali di vietare completamente l'utilizzo dei pesticidi clothianidin, imidacloprid, thiamethoxam e fipronil, attualmente sottoposti a un divieto temporaneo e a vietare gli altri pesticidi dannosi (compresi clorpirifos, cipermetrina e deltametrina).
Allargando il quadro, la situazione certo non migliora. Una delle principali cause dell'estinzione della fauna selvatica nel pianeta, duole ammetterlo perchè ci siamo invischiati tutti, è poi proprio l'espansione delle colture agricole per far fronte all'aumento della richiesta di cibo, che oggi ha raggiunto livelli mai visti. Questo sovrasfruttamento è la diretta conseguenza della crescita demografica. Nel primo dopoguerra eravamo nemmeno tre miliardi. La maggior parte della popolazione era povera e coltivava direttamente ciò che mangiava. Poi, grazie alla scoperta dei fitofarmaci, delle selezioni genetiche e di imponenti sistemi di irrigazione si sono create le condizioni per una vera rivoluzione, le carestie sono finite, il cibo ha cominciato ad abbondare e così anche il lavoro, subordinato e retribuito. Ciò che sta avvenendo allo stesso modo oggi nei paesi emergenti dell'Asia, e che sta determinando la crescita dei popoli nell'altro emisfero. Paesi come India e Cina, che da soli contano 2 miliardi e mezzo di persone stanno cambiando radicalmente la propria dieta, avvicinandosi ai nostri consumi. Il che ha già determinato un'impennata mai vista della domanda di carne, di latticini e uova, ma anche di cereali necessari all'allevamento degli animali da macello. Il paradosso è che questa tendenza positiva, ai ritmi attuali, sembra essere non sostenibile.
Se questa tendenza manterrà il passo, dice su National Geographic Jonathan Foley, Direttore del Institute on the Environment all'University of Minnesota, nel 2050 arriveremo ad aver necessità del doppio delle coltivazioni che abbiamo tuttora. Foley, insieme ad una squadra di scienziati, ha predisposto una formula in cinque passi per rispondere a questa semplice domanda: “come può il mondo raddoppiare la disponibilità di cibo riducendo contemporaneamente i danni ambientali causati dall'agricoltura?”. Niente più e niente di meglio di ciò che in Italia si va dicendo da decenni (anche grazie a Slow Food di Carlo Petrini): aggiornamento del diritto alimentare (analisi della sostenibilità su tutte le fasi della produzione e della vendita), promozione delle filiere corte e del giardinaggio urbano (consumare frutta e verdura che deve percorrere 3 mila km prima di giungere a destinazione non è sostenibile), utilizzo della tecnologia, preferenza per i cibi locali e cucinati a casa, acquisto di prodotti eco-sostenibili e riduzione drastica degli sprechi.
Ci vuole, insomma, una vera cultura del cibo, occorre recuperare il nostro rapporto con la terra e con la natura. Solo così potremo utilizzare intelligentemente le risorse disponibili e rimettere in circolo ciò che la natura ci ha solo prestato. L'Expo universale di Milano2015 ci dirà quialcosa in più? Speriamo. Intanto possiamo guardare con fiducia a ciò che già c'è. Il cacciatore, nel suo piccolo, pur portando avanti più la propria passione personale che l'interesse generale, fa esattamente questo. Tiene viva un'attività, che è più che compatibile, che non depaupera le risorse rinnovabili (la fauna selvatica), non le svilisce. E' abituato a ragionare in termini di sostenibilità: della serie: se caccio più del dovuto diminuiranno le probabilità di poter attingere all'amata risorsa nelle successive annate, il resto lo fanno le leggi che limitano, controllano e puniscono. Poter vantarsi a testa alta di avere un rapporto diretto con il proprio cibo, di consumare solo quello che in natura è disponibile in abbondanza e che ha bisogno di essere tenuto sotto controllo (vedi ungulati), non è certamente da tutti. I n tutto il mondo, è questo ormai il vero cavallo di battaglia della caccia del terzo millennio. Giorgia Pellegrini, la cacciatrice americana che scrive libri sulla crescita della caccia al femminile e tiene programmi televisivi per insegnare alle donne come cucinare la selvaggina, ha un enorme successo proprio per questo motivo: la sua filosofia di vita è al passo con i tempi. E' una spanna avanti perfino all'orto di Michelle Obama.
Checchè se ne dica il tempo delle bacchettonate del vetero ambientalismo è giunto al termine. Nell'era della riscoperta del cibo di qualità il ritorno alla tradizione ha un enorme successo. L'ultima star televisiva uscita dai canali del digitale terrestre è Chef Rubio: un'ex ruggbista che maneggia interiora, carne di cavallo e pesce crudo con una naturalezza disarmante. Mangia qualsiasi cosa, purchè sia cibo di strada, fatto con tutti i canoni della tradizione. E la gente, sono gli ascolti a dirlo, lo adora. E che dire poi di Mark Zuckenberg, il capo di Facebook, che mangia solo quello che caccia direttamente? Lo fa proprio per i motivi sopra scritti. E chissà quanti, con la sua enorme visibilità, avrà convinto a seguirlo.
Ecco perchè i dogmi animalisti e i progetti legislativi per vietare agnelli e carne di cavallo sono destinati a un declino sicuro. Sono fuori tempo, come la vecchia dirigenza ambientalista italiana che per anni ha cercato di chiudere l'ambiente al di fuori della vita delle persone. Per proteggerla l'ha imbalsamata. Per proteggere gli animali ha cercato di rendere immorale la cosa più naturale del mondo: mangiarli. Nutrirsi anche di carne, purchè sia selvaggina o carne proveniente da allevamenti eco-sostenibili, non solo fa bene, ma aiuta l'ambiente e tiene lontane le mire distruttive della produzione di massa. E' così che si protegge la natura. Ditelo in giro.
Cinzia Funcis
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