Chiudete gli occhi e provate a immaginare. O sognare. Sabato 18 agosto (di una cinquantina d'anni fa). Un mondo diverso. Non in Uganda, no, nella civilissima Toscana (dove il Granduca Pietro Leopoldo - nonno di Leopoldo II detto Canapone, cacciatore di prispoloni dalla sua portantina con feritoie - fu il primo, più di due secoli fa nel 1786, ad abolire la pena di morte, tanto per dire; ma cinque anni dopo liberalizzò la caccia anche in gran parte delle tenute granducali).
Allora, cinquant'anni fa, o giù di lì, per la stragrande parte di noi, s'andava a caccia intorno casa. In collina e montagna col cavallo di San Francesco, in pianura con la bici (cane a cassetta), in Vespa, e - chi poteva - in automobile. Che era un attrezzo poco comune. Quando c'era, n'avanzava una per famiglia. Insomma, io, noi, nella mia famiglia, una macchina ce l'avevamo. Quel giorno, come tanti anche negli anni dopo, ci servì per spostarci armi, cani e bagagli nel paradiso terrestre che per noi s'identificava geograficamente con le indistinte latitudini della campagna che sta fra Colle Val d'Elsa e Monteriggioni.
Ai margini di una ben gestita riserva di caccia (allora le AFV e le ATV - ormai, oggi, difficilmente distinguibili a un cacciatore che le frequenta - erano ancora di là da venire), una riserva ricca di tutto e di più. Era, quella, una vera e propria trasferta, un intero week-end, come si dice oggi. Arrivati nel pomeriggio nell'aia di un bravissimo fattore ("Filiberto della Fiorina", per noi), accasatici alla meglio in un paio di camere, ci disperdemmo nei paraggi per i necessari sopralluoghi (verifica del bazzico e degli affili) e apprestamenti (paratine in qua e in là), prima di rientrare affamati e consegnarci anima e corpo alle cure della Fiorina, appunto, la massaia, grande di cuore e di stazza. E che cure. Crostini con milza capperi e acciughe, un prosciutto sublime (salato alla toscana, con pane "sciocco" fatto in casa), un risotto al sugo di piccione tirato a misura di palati esigenti, pollo, coniglio e piccione arrosti in forno con patate novelle, roast beef, insalata (lattuga e ricciolina) condita con sale olio e aceto...della casa, acqua fresca del pozzo, ma soprattutto quella bevanda rubino brillante dal gusto rotondo, sui 13 gradi, che nasce e cresce da quelle parti, e per finire latte alla portoghese (superbo!) e fette di pan di spagna coi pinoli da zuppare nel vinsanto di caratello. E scusate se me lo ricordo ancora tutto questo bendiddio, e li seguito, stampato a fuoco nella memoria, ma vi assicuro che nella mente di un adolescente (licenza di caccia a sedici anni) non poteva essere che così. Difficile dormire, ovviamente, un po' per la digestione elaborata, ma soprattutto per l'ansia della vigilia. Fatto sta, che con la scusa di prendere una boccata d'aria più di qualcuno uscì per un improbabile balzello.
Prime ore antelucane tanto attese, eccoci già ai margini di una vigna, a ridosso di un maggese a individuare la provenienza del canto mattutino delle starne. Al pivello, che sarei stato io, un catenaccio americano, cimelio dello zio ex migrante, pesante, canne lunghissime, in parallelo, calcio a pistola; sgraziato, insomma, ma efficace. Cartucce "corrazzate", caricate a mano. Con amore. A giorno si sciolgono i cani, due setter inglesi affiatati, muscoli in tiro per l'assiduo allenamento, solida ferma. Consenso si e no. Un bel maschio di fagiano, poi due femmine, poi finalmente, un branchetto di starne, prima una coppiola, poi altre due sbrancate. A mezzogiorno, sosta all'ombra, in riva a un'abbeverata: un deposito naturale per la raccolta dell'acqua. Sette tortore, due merli e un rigogolo.
Due fette di pane col prosciutto, una mela, apparse come per incanto dal tascapane, un sorso di vino annacquato dalla borraccia. Mezzo pisolino, ma proprio mezzo, e nella canicola si riparte coi cani rinfrancati: acqua di fonte e un po' di pane.
Come un coniglio dal cappello di un prestigiatore, sotto la ferma del cane, insalutato ospite, salta fuori da un fosso un leprone che se la dà a gambe levate, ovviamente, rincorso da più di una schioppettata, più rumore che altro, soprattutto il mio, ma con qualche effetto. Tanto che uno dei cani, il più discolo, stenta a tenere la ferma e recupera l'orecchiona che nel frattempo (un pallino?, la paura?) aveva rallentato.
Ecco, per farla breve, capo più capo meno, il carniere variegato e variopinto, tanta penna mista a pelo, che a fine giornata potevamo tirar fuori dal carniere. Con soddisfazione.
Il 19 d'agosto, per l'appunto. Era l'apertura di cinquant'anni fa. Mezzo secolo tondo tondo, ma sembra ieri.
Musicus
P.S. Vi risparmio le padelle, soprattutto del bamboccio della compagnia, ovvero me medesimo, e le colorite prese per il bavero. Ma anche le une, le padelle, e le altre, le prese, facevano (e fanno) parte del "pacchetto". In bocca al lupo a tutti... per la preapertura. Godetevela e continuate a sognare.