Avrei voluto cavarmela con qualche “dedica” stringata. Ma poi i pensieri si sono rincorsi, accavallati e ho pensato che dovevo ricordare prima di tutto a me stesso, alcune cose di fondamentale importanza.
Perché trattare tanti argomenti diversi? Per lasciare una traccia non effimera.
Non narcisismo, dunque; casomai legittima difesa per l’arduo compito che mi sono assegnato nel condurre delle battaglie che sembravano inizialmente perse.
La lunga esperienza commerciale mi induceva a calcolare ogni possibilità, (anche quelle positive). Al tempo dedicato a difendermi e difenderci dall’accusa, fin troppo banale, di protagonismo, ferocia assassina o di chissà quali altri oscuri interessi che puntualmente sono stati smentiti.
L’intransigente difesa del principio che “due più due fa quattro” e che, giammai, nemmeno per un ragionevole, democratico compromesso, può fare tre o cinque, inferociva sempre di più il mio naturale nemico.
Nell’era del “pensiero debole”, in un mondo grigio, stracolmo di pigri, di furbi, di mediocri e di millantatori che, ancora oggi, nel disinteresse di molti sperano di fare giudicare, chi fa sentire la propria voce e accende un cerino nel buio, “uno sconsiderato”.
Nessun timore, perché non mi sono mai sentito “solo contro tutti”. Accanto a me cerini e fiaccole accese nel buio ne ho contate a migliaia.
Ho superato ormai, malvolentieri, il mezzo secolo di vita e dopo avere vissuto intensamente ed a lungo “il mito eterno della giovinezza” mi trovo ancora una volta a combattere per affermare i diritti di una categoria per troppo tempo bistrattata. A loro vorrei dedicare la nobiltà di certe sconfitte che mai ci fecero, tuttavia, sentire come dei “vinti”. Così come vorrei ricordare a tutti noi le numerose vittorie degli ultimi anni, linfa vitale per caricarci del necessario ottimismo che ci consentirà di affondare la stoccata finale: ridare il giusto orgoglio al cacciatore moderno e consapevole attraverso la giusta modifica alla legge 394/91 e 157/92.
Dopo diciassette anni che è in vigore la legge quadro 157/92, che a mio avviso tanti guasti ha provocato, sia le forze politiche, che quelle pseudo ambientali, devono prendere atto che tale modello di gestione richiede una profonda revisione ritenendo a ragione che la politica adottata sia stata fallimentare.
In effetti, anziché investire sull’educazione e sulla cultura, per la diffusione di una responsabile coscienza ambientale, si è preferito imporre coattivamente la PARCORISERVAMANIA, relegare i cacciatori in piccoli spazi chiamati ambiti territoriali di caccia, impedire di ritrovarsi tra amici o parenti nelle diverse province o regioni, perché vincolati dall’indice di densità venatoria, reciprocità e balzelli vari che, di fatto, impediscono il cacciatore a muoversi, mentre i confini dei paesi europei si sono aperti a tutti, “anche ai delinquenti”.
Anche per la protezione della fauna i risultati sono deludenti. La sommatoria di vincoli, divieti e sopratasse, imposti dalla 157/92, è stata funzionale per immobilizzare i cacciatori Italiani, ma non ha efficacia per la protezione della fauna che, raggiunti i paesi nord Africani ed Est Europei, in quantità esorbitante, finisce col rimpinguare i carnieri dei cacciatori di tutto il mondo che si possono permettere il turismo venatorio in quei luoghi. Mentre si può, molto verosimilmente, affermare che le leggi 394/91 e 157/92 sono responsabili di aver ridotto a rischio di “estinzione” la specie “cacciatore” che in Italia per l’integralismo ambientale e le leggi vessatorie li ha polverizzati da circa duemilioni dei primi anni 80 agli attuali circa ottocentomila.
Se ciò può fare gongolare il mondo ambientalista, non altrettanto gioisce l’economia nazionale; perché il mondo venatorio produce economia vera, non quella virtuale che si era fatto credere alle comunità locali per indurle ad entrare in area parchi e riserve e che ancora attendono il tanto promesso sviluppo. Le industrie di armi e munizioni sportive nonostante la decimazione dei cacciatori, ad oggi fatturano in Italia oltre tremila miliardi di euro annui. Se si considerasse l’entità di fatturato possibile oltre l’indotto, programmando l’attività venatoria per specie e periodo cacciabile, si potrebbero ricreare tanti posti di lavoro. Pertanto, si può ben affermare che le due leggi hanno assestato un poderoso colpo basso all’economia nazionale.
A questo proposito da decenni, si confrontano due tesi:
da una parte i fautori del ruolo passivo dell’uomo all’interno delle aree protette secondo i quali l’equilibrio demografico dovrebbe essere garantito dalle sole forze della natura;
Dall’altra coloro che sostengono la necessità di un intervento dell’uomo perché ritengono, a ragione, che solo attraverso l’uomo, sia possibile conseguire concretamente l’opera di protezione e proliferazione della fauna selvatica.
Con la forza della ragione, si deve sgombrare il campo da isterismi ideologici e operare con razionalità nell’interesse del patrimonio ambientale e faunistico del Paese.
Il persistere di questa logica e le leggi rivoltanti e vessatorie nei confronti di una categoria tra le più sane, oltre a non rendere giustizia al cacciatore, sono veramente dannose per tutta la collettività.
Affrontando un argomento così importante e delicato anche per la nostra economia, non si tratta di attribuire il merito o concessioni gratuite ad una massa di cittadini, ed io sono convinto che questo sia il momento di attuare seri provvedimenti per ridare quello che a mio avviso si deve ad una passione popolare che, pur se talvolta, a torto, è considerata con sospetto, io intenderò esaltare non solamente perché sono appassionato, ma perché mi rendo conto, che più vicini alla natura e all’ambiente sono proprio i cacciatori e sono proprio quelli che non vogliono perdere il contatto con la natura e quello che ancora rimane non cementificato, mentre la classe politica dovrebbe prenderne atto, rispettando e facendo rispettare quelle regole che garantiscano il mantenimento e il miglioramento dell’eco sistema e il recupero di zone depauperate.
Per concludere, riteniamo necessaria una nuova regolamentazione della caccia non per fare un torto all’anticaccia, ma per dare l’avvio ad un nuovo modo di regolare non solo l’esercizio venatorio in Italia, ma di concepire un rapporto intenso con la natura, più vivo, più sereno per un’attività non di élite ma popolare e che si cala nella realtà dei tempi in cui viviamo.
Dr. Francesco Lo Cascio
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