Lo speciale Robinson, allegato a Repubblica nell'edizione domenicale, ha dedicato la copertina di domenica 18 giugno alla relazione tra uomini e animali, affidando al sagace Michele Serra la delicata riflessione sul come e perché si sia trasformato in una sorta "zoofilia morbosa", che diventa il "pretesto politico per ragrenellare voti" (il riferimento in particolare è a Berlusconi, "salvatore di agnelli pasquali e ostensore di barboncini vezzosi, ma non conosciuto almeno fin qui, come nemico della cementificazione o artefice di misure contro l'effetto serra") e "pretesto culturale per evitare di fare i conti sul serio con la natura facendone una parodia domestica". Serra insiste sulla differenza tra i due termini, evidenziando l'ipocrisia di chi fa l'animalista ma si dimentica dei problemi ambientali. "Non può esistere un animalismo non ambientalista, sguarnito di strumenti critici nei confronti del modello di sviluppo e dell'impatto sugli equilibri naturali che homo sapiens ha prodotto" evidenzia.
E a tal proposito chi fu ad illuminarlo anni fa? Proprio i cacciatori. Racconta infatti di quando, durante un "rissoso dibattito" sulla caccia vicino a Reggio Emilia, un vecchio cacciatore gli fece notare che gli uccelli in realtà dovevano la loro decimazione ai veleni della chimica agricola e non certo a qualche cacciatore. "Era un intervento poco dialettico - ricorda Serra - ma mi servì a capire che il dibattito sulla vita selvatica, e sulla vita animale in generale, non ha alcun senso se prescinde da un'idea complessiva della natura e della sua interdipendenza con la civiltà umana".
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Ma i problemi del nostro patrimonio faunistico sono gli stessi. Dopo quell'episodio, e svariate letture sul tema, il giornalista ammette di aver cambiato la propria visione generale, anche grazie al fatto che ora che vive in campagna, conosce bene "la grande differenza tra il numero di specie selvatiche - uccelli soprattutto - viventi nelle zone poco inquinate e in quelle inquinate". Oggi quindi considera ambientalista il lappone che vive in stretta simbiosi con le sue renne, mangiandone la carne, bevendone il latte e vestendosi con le sue pelli, mentre per nulla ambientalista la signora che ama a tal punto le bestie da costringere il proprio cane ad una dieta vegana, distorcendo, spiega, la sua natura canina e la natura stessa.
Un concetto ribadito sullo speciale di Repubblica anche dall''intervento di Desmond Morris, zoologo ed etologo inglese, divulgatore scientifico, nonché autore della Scimmia Nuda (quella citata dal vincitore di Sanremo), che definisce l'umanizzazione degli animali “uno degli errori più grandi che possiamo fare”. Anzi, secondo Morris anche noi umani ci costringiamo ad una vita "innaturale". "Come per i gatti, i cani e gli altri animali cacciatori che sono costretti a vivere in appartamenti – evidenzia -, noi spesso siamo costretti a vivere in città. Ma non è il nostro ambiente naturale. Noi siamo una specie tribale, non a caso poi nei centri abitati abbiamo bisogno di formare piccole tribù, come quelle degli amici. E' nella nostra natura”.
Tornando all'editorialista di Repubblica, è evidente che l'argomento animali e ambientalismo lo appassiona particolarmente. Quando la stretta attualità lo impone, vedi caso cinghiali a Roma o lo sbrago animalaro di Forza Italia, dalla sua rubrica L'Amaca non lesina le dovute tirate d'orecchie a quel certo andazzo animalista modaiolo, cittadino e distratto che ha perso completamente il senno e il contatto con la realtà. Con parole schiette e di buonsenso, Serra fa una netta distinzione fra quello che è apprezzabile e condivisibile, come le dovute pretese sul benessere animale (ad esempio nell'allevamento), e quello che invece è oggettivamente una sorta di negazione inconscia della natura e delle sue regole.
Una natura che “ha fauci e stomaci, denti e artigli”, una natura che è indiscutibilmente onnivora, dice. Il revisionismo di certi vegani integralisti nega la nostra di natura onnivora, in nome di un sentimentalismo che altro non è che un rifiuto del dolore e della morte, che esistono e ci toccano nel profondo. “Se non sono vegetariano è anche perchè mangiare ed essere mangiati è uno dei vincoli insormontabili (e impressionanti...) del grande cerchio della vita”, scrive Serra.
Fa male, forse, ma è così. Se proprio all'animalismo si può trovare un merito è quello di aiutarci a ragionare sulla nostra supremazia, dice Serra, “sulle responsabilità che comporta; sulla tracotanza e la dabbenaggine con la quale esercitiamo questo potere, distruggendo l'ambiente e infliggendo inutili sofferenze agli animali; sul consumo spropositato di carne, dannosissimo per l'ecosistema; sulle distorsioni insane, come la produzione di cibo senz'anima degli allevamenti industriali e delle colture intensive”. Ma certo “non può e non deve illuderci, l'animalismo, che esista una natura incruenta, pacifica e benevola”, spiega papale papale, elogiando chi, come Mario Rigoni Stern (“il più ammirevole naturalista che io abbia mai conosciuto”) ha mantenuto un rapporto di profondo rispetto con la natura nella sua complessità. Alle sue regole, non certo alle nostre. Nei confronti degli animali, "riconoscerne e rispettarne la non-umanità, la specifica e prodigiosamente varia identità biologica, è il solo possibile atteggiamento davvero animalista" sostiene Serra.
E' certo che i cacciatori in questo senso sono più animalisti degli animalisti, conoscendo la vita selvatica, occupandosene quotidianamente e preservandola da un degrado altrimenti inevitabile. E se, come non si stancano di ripetere Brambilla e Berlusca, gli amanti degli animali sono quelli che ne posseggono uno d'affezione, non si può non far notare che molti di questi amici pelosi sono carnivori dai denti taglienti (14 milioni tra cani e gatti) e che la loro vita esiste perché altri svariati milioni di polli, manzi, maiali (e pesci!) muoiono negli allevamenti per riempire le scatolette di cui si nutrono. Ecco quindi ancora il cerchio della vita citato dal giornalista. Non se ne esce. Nemmeno, come giustamente esplicava Serra in merito alla signora di cui sopra, prevedendo incaute diete vegan per loro.
Tra gli animali d'affezione anche conigli, criceti, pesciolini e uccelli contribuiscono a tenere alto il fatturato del pet food e del pet care. L'Italia quest'anno ha raggiunto un primato: siamo il paese in Europa che detiene il maggior numero di uccelli ornamentali in gabbia: sono ben 13 milioni i canarini, le cocorite e affini. Un numero altissimo. Ovviamente le tante contestazioni animaliste rivolte ai richiami vivi dei cacciatori non riguardano questi altri uccelli. Eppure la loro vita è la stessa: nascono in gabbia e lì ci rimangono fino a che ricevono cure amorevoli. La discriminante è il fine: se c'è di mezzo la caccia il rifiuto alla comprensione e al dialogo è cosa scontata.
L'animale per quello che si prospetta essere l'elettorato ideale della Brambilla (la quale punta almeno al 10%), sembra essere quindi solo una sorta di pupazzetto animato il cui scopo è riempire certi vuoti affettivi (surrogato di figli, troppo impegnativi da fare e da mantenere) e sollazzarci nei momenti di svago. Per dirlo con le parole di Serra, “esiste e dilaga, nell’Occidente imbambolato, un animalismo antinaturalista che idealizza le bestie e le vezzeggia, e quel che è peggio le antropizza, con i cappottini, la cosmesi, la psicoterapia e altre svenevolezze”. Poi ogni tanto (sempre più spesso) spunta fuori qualche animale vero, selvatico, che non vuole essere accarezzato. "Esattamente come fa l'inconscio - scriveva Serra nei giorni delle tante segnalazioni di cinghiali a spasso per Roma -, la natura sputa fuori a tradimento ciò che abbiamo dimenticato di essere, o semplicemente ciò che lei continua ad essere indipedentemente da noi".
Cinzia Funcis
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