Se i cacciatori sono in calo, dato che nessuno si sogna di negare, certo non se la passano bene nemmeno quelli che la caccia la osteggiano. E se ormai è chiaro che chi sfrutta ai fini elettorali l'immagine del vecchietto con doppietta e cataratta sarà presto rimesso in riga dagli italiani, visto che, nella migliore delle ipotesi (sondaggio La7) si parla di uno zero virgola quattro di animalisti sfegatati, anche nelle più colte sfere ambientaliste, quelle rappresentate dalle grandi Ong, hanno non pochi problemi.
A guardar bene, la moda ambientalista sembra ormai essere stata archiviata dalla storia. Siamo ben lontani da quei consensi quasi plebiscitari di decenni or sono, quando il Wwf – nato dalla caccia: i primi presidenti furono illustrissimi cacciatori (Bernardo d'Olanda e Filippo d'Edimburgo) – raccoglieva molte centinaia di migliaia di iscritti. Il Wwf italiano da qualche anno è entrato in una crisi senza precedenti: ha chiuso gran parte delle sue sedi e, per mancanza di fondi, è stato costretto a decimare le proprie attività sul campo. Le quote sociali, spulciando il bilancio 2016, fanno guadagnare all'associazione 2.692.000 euro circa, ma il disavanzo di gestione ammonta a 700mila euro (4 milioni nel 2013). Secondo Il Fatto Quotidiano, nel 2015 i soci erano 60mila, rispetto ai 300mila degli anni novanta. In sei anni poi sono dimezzate anche le donazioni spontanee.
Veniamo alla Lipu, la più agguerrita avversaria dei cacciatori, non solo migratoristi. I suoi tesserati, pressochè stabili rispetto al 2012, sono circa 25 mila che moltiplicato per una media di circa 25 euro per tessera dà 596 mila euro di quote sociali. Una vera anomalia si nota alla voce donazioni. Nel bilancio 2016 ha incassato più del doppio del Wwf: tre milioni e settecentomila euro, il perché e il per come non è dato saperlo.
Legambiente, che con i cacciatori per lo meno, a tratti, ci dialoga (riconoscendo loro un ruolo sociale ed ambientale) conta su per giù 50 mila soci (che versano da 10 a 30 euro a testa per un totale di 743mila euro a cui si aggiungono proventi per 627mila euro) nel 2016, in calo di più del 25% rispetto al 2007. Vedi bilancio
Le cause della crisi ambientalista in parte attengono alla trasformazione profonda e radicale della società, sempre più urbana e distante dalle campagne e dal vivere la natura quella vera, ma sempre più attenta ai bisogni dei pets, che affollano contraddittoriamente anche case dove i figli costano troppo e gli anziani sono sempre più soli. In questo contesto quindi arretrano le motivazioni ambientaliste e prevalgono quelle animaliste.
Ecco dunque che, in una sorta di furbo cannibalismo interno, crescono associazioni come la Lav, capace, grazie anche ad una buona organizzazione comunicativa, di raccogliere i consensi dallo stesso serbatoio. Ciò comporta di rimando una deriva animalista più o meno accentuata anche fra le associazioni ambientaliste (vedi Wwf e Lipu).
C'è poi il fattore crisi economica. I vecchi simpatizzanti tagliano il più possibile le spese non necessarie, riducendo le sottoscrizioni. Ma il principale motivo forse è una sorta di disaffezione crescente per i mancati risultati ottenuti. Il fallimento delle politiche ambientali in Italia ha prodotto disastri inconcepibili in qualsiasi altro paese in cui l'ambientalismo sa farsi sentire. Per decenni si è inquinato e distrutto il nostro patrimonio naturale. La denuncia la fanno loro stessi, gli ambientalisti. E la loro voce si è fatta sempre più tenue. Sono sempre meno influenti, proprio a causa dei reiterati insuccessi: lo stato dell'ambiente del paese è pessimo, soggetto a continue emergenze (falsamente dipendenti dalle cosiddette calamità imprevedibili come la carenza d'acqua, i nubifragi, le alluvioni, i terremoti), inquinamento diffuso (agricoltura e industria), perdita di suolo utile (edilizia privata e industriale, strade), e certificato soprattutto dalle sanzioni comminate dalla UE per inadempienze e reati ambientali.
Il che ovviamente ha generato una crisi di vocazioni tra i simpatizzanti, che ormai sono l'ennesimo residuo di quelli che furono i fasti celebrati prima dal Partito Radicale (ormai ai minimissimi termini), poi dai Verdi (defunti, malgrado abbiano per anni continuato a ricevere rimborsi elettorali), e ultimamente dalla Sinistra ecologista, che sta morendo divisa nella lotta per conservare le residue poltrone. Eppure chi difende davvero quel che c'è rimasto nelle nostre campagne, cacciatori in testa, di poltrone libere difficilmente ce ne trova, in campagna, e in compenso i calli non se li fa nella parte bassa, ma alle mani. Mentre a questi signori, dalla faccia perennemente stampata sullo schermo catodico, basterebbe chiedere di mostrare le mani, per capire che di campagna vissuta ne hanno masticata sempre poca, nella vita.
Cinzia Funcis