"Si passa la sera scolando barbera..." cantava tanto tempo fa il grande Giorgio Gaber, arguto interprete dei nostri pregi e, pure, dei nostri difetti.
E in queste calde notti pandemiche, fra un goccetto e l'altro, a noi cacciatori ci viene da riflettere anche del nostro futuro, delle prospettive della nostra passione. Ci aiuta anche lo smartphone, che fra le tante scemenze che ci propina ci fa scoprire qualche discreta perla, frutto di conoscenze del mondo, di esperienze, di riflessioni.
Convinto che tutto sia concatenato, oso collegare i problemi del paese, e forse del mondo, con le nostre modeste aspettative di cacciatori. Leggo per esempio, su "Metafore del Mondo" una riflessione tratta da “L'Italia del ni”, di Gian Maria Fara, presidente Eurispes, nonchè navigato indagatore dei fenomeni sociali.
“Tutti i principali analisti - dice Fara - segnalano da anni l’assenza di una classe dirigente in grado di guidare i destini del Paese. Le élites, o quel poco che ne resta, sembrano più interessate a salvaguardare ruoli e rendite piuttosto che a dedicarsi all’interesse generale. Manca una carta nautica aggiornata e il navigante è costretto a tracciare la rotta giorno per giorno. La proiezione massima sul fronte economico e finanziario non supera i tre anni e per le società quotate in Borsa i programmi e i risultati si verificano a tre mesi. È caduta la cultura della programmazione, così come si è persa quella dell’analisi preventiva dei costi e dei benefici che dovrebbero accompagnare le decisioni pubbliche. Le grandi questioni che attraversano la vita del Paese sono affrontate con la superficialità e con l’improvvisazione dettate dai tempi della comunicazione. Ogni argomento, anche se di grande rilevanza, viene affidato a uno spot, uno slogan, un tweet. Il confronto tra idee e posizioni diverse è considerato una perdita di tempo. E anche i luoghi istituzionalmente a ciò deputati sono quotidianamente delegittimati dalla pretesa di trasferire al popolo il potere di decidere". Manca insomma, conclude Fara "una idea di comunità e di un senso stesso dello Stato".
Fra uno spritz e l'altro, moderni sostituti del barbera, leggo e rileggo anche una recente lunga riflessione di matrice toscana sulla caccia e sui suoi rapporti/problemi con la società. Non solo in Toscana.
"E’ nostra convinzione - leggo - che la crisi di identità di cui soffre il nostro mondo, derivi in larga parte dalla mancanza di idee di lungo respiro su cui ancorare da subito la necessaria progettualità. La battaglia difensiva sugli attacchi animalisti ai calendari venatori ed a tutti quegli aspetti che attengono all’etica venatoria, deve vederci impegnati, ma non basta. Le battaglie in difesa, servono per salvare la pelle, per non soccombere ma non certo per riconquistare un ruolo in una società in profonda trasformazione. Il punto da cui ripartire deve essere incentrato sulla necessità di mettere sul piatto fatti concreti, opportunità reali, modelli gestionali che offrono un elevato valore aggiunto per tutti i cittadini. Il tema della gestione virtuosa del territorio e della fauna selvatica spesso richiamati stancamente nelle assemblee e riproposti in modo vago al mondo agricolo, meritano una lettura più attenta e proposte in linea con le novità e le opportunità che si aprono davanti a noi. Ripensare la Legge 157 diventa essenziale, riorganizzare ruolo, funzioni e strategie degli ATC, obbligatorio. Non vi è dubbio che il tema della gestione faunistica dovrà essere sempre più al centro delle nostre azioni".
"La crisi della piccola selvaggina – proseguo nella lettura - ha raggiunto livelli da “allarme rosso”. Una crisi crescente che in verità riguarda tutta Europa e che non può essere risolta certamente, ricorrendo a cure “palliative” o piccoli e sparuti interventi di miglioramento ambientale, avulsi da una strategia generale. Le cause di questa situazione sono molteplici ma non vi è alcun dubbio che la principale di esse, è sicuramente quella dei profondi cambiamenti del territorio agro silvo pastorale".
Riflessioni che, a mio parere, fanno eco all'allarme di Fara: il mondo corre, troppo in fretta, la politica è a corto di idee, c'è carenza di élites all'altezza dei problemi, si insegue il consenso spicciolo per restare in sella.
Anche per la caccia, dunque, ci vuole una strategia, una programmazione che si possa sintonizzare con le sfide a cui ci chiama il tumultuoso degrado ambientale, un monito che solleciti i nostri governanti a un'attenzione più precisa sui danni che certe attività legate a uno sviluppo senza una visione di prospettiva si portano dietro.
Per restare alla piccola selvaggina, la migratoria, per esempio, noi lo sappiamo, è legata al benessere dei terreni su cui transita e si ferma. Ma non solo, è ovvia una forte interdipendenza fra le specie. Certa industria come certa agricoltura favoriscono alcune specie a discapito di altre. Chissà perché oggi i corvidi prevalgono sulle allodole, o sulle pavoncelle. O perché i tordi frequentatori dei boschi se la passano meglio degli uccelletti dei campi.
E le leggi? Questo protezionismo sciocco che trova sostenitori non tanto nella scienza (anch'essa in parte gelosa custode della cadrega) quanto nell'in-coscienza, cioè nell'ignoranza più gretta. Spaziando a tutto tondo sul firmamento animale, si plaude all'orso che aggredisce un carabiniere (o era un forestale: oggi è difficile distinguere), o si tifa per il lupo che decima greggi e armenti e si snobba quel patrimonio di proteine a buon mercato (cinghiali, cervi, caprioli), che una serie complessa di concause, di certo più la parcomania che la caccia, ha portato a un difficile controllo, mentre potrebbe arricchire le tavole degli italiani.
Insomma. Manca una visione, manca un progetto, un barlume del quale al momento è reperibile nei buoni propositi europei del Green Deal, il Patto Verde Europeo, quando coniuga riduzione dei veleni con Farm to Fork (una specie di chilometro zero ideale), interventi a tutela della biodiversità, operando sull'ambiente con supporti “bio” per l'agricoltura di qualità.
Se son rose, fioriranno. Ma ci vuole determinazione, una volontà vera, da parte di tutti. La politica, la consapevolezza di un opinione pubblica giustamente informata, il mondo delle imprese. A essere sinceri fino infondo, manca una volontà diffusa anche nelle nostre fila, per guardare un po' più in là del nostro naso, ormai anch'esso ridotto a mal partito da questa opprimente mascherina.
Meglio approfittare di qualche altro buon barbera, va'… O è preferibile lo champagne, visto come vanno le cose anche per la caccia, un po' meglio a mio parere, nelle terre dei nostri cugini d'Oltralpe? Anche se.....
Grande Gaber!
Vito Rubini