Come molti sanno, Carlo Petrini, oggi a capo di un'organizzazione internazionale, Slow Food International, che professa il ritorno alle buone pratiche agricole in difesa di quella biodiversità sempre più sacrificata sull'altare del dio denaro, ebbe la prima intuizione in occasione della Sagra del Tordo di Montalcino (Siena). Non era un cacciatore, semmai un vero ambientalista, ma grazie alle sue origini rurali, si batteva e ancora si batte per un'agricoltura che porti sulle nostre tavole cibi buoni puliti e giusti. Un idealista?, un utopista? Chissà. Resta il fatto che l'autorevole quotidiano The Guardian lo inserì in anni non sospetti fra i cinquanta personaggi in grado di "salvare il pianeta". Una persona affidabile, dunque, per affrontare il più grande problema del nostro tempo, quello appunto di salvare il pianeta.
Non mi scandalizzerei, perciò, di fronte all'adesione di Slowfood, insieme ad altre organizzazioni agricole e ambientaliste, a un appello all'Unione Europea per indirizzare la futura politica agricola comunitaria (PAC) verso un'agricoltura sostenibile.
Ragionando da cacciatore, ma anche da cittadino responsabile, mi verrebbe da dire "ambientalista", trovo condivisibili molti dei principi sostenuti. Mi permetto perciò di richiamarli all'attenzione affinchè si sviluppi un minimo di riflessione anche nel nostro mondo, soprattutto quando si invita a favorire l'agricoltura biologica, il mantenimento e il ripristino di spazi naturali nelle aree agricole, la conservazione della biodiversità naturale con una gestione sostenibile dei prati permanenti, dei pascoli, delle foreste, delle aree non produttive, con un'attenzione particolare alla salvaguardia degli impollinatori. E ancora che favorisca la zootecnia estensiva, miri a salvaguardare il suolo con interventi per aumentare la fertilità e la biodiversità, prevenendone l'erosione, tramite la rotazione delle coltivazioni, sostenendo le comunità rurali.
Dico la verità: di fronte a questi principi, tornano in mente i vecchi trattati di agricoltura e gestione faunistica scritti da grandi cacciatori, come Emilio Scheibler, o i testi inglesi di game management degli anni sessanta-settanta dello scorso secolo. E allora mi chiedo: perchè in quest'ultima ventina d'anni anche noi - sicuramente depositari di legittime esperienze e competenze - non ci siamo messi avanti col lavoro per contrastare la marea montante di uno sviluppo insostenibile, di un'agricoltura industriale, di un dispregio delle buone pratiche della nostra tradizione rurale?
Maurizio Poli