Un "comitato per... l'eradicazione del cinghiale all'Elba" ha inviato alle autorità locali, regionali e nazionali una petizione per far fuori completamente le popolazioni di cinghiale da tutta l'isola, appunto. Le ragioni che hanno portato a questa decisione, sembra condivisa da alcune associazioni ambientaliste, operatori turistici e agricoltori, una quarantina, secondo quanto si legge nel documento, sono da collegare al fatto che "Il territorio elbano, gli ambienti naturali, le attività economiche, le case, i giardini, gli orti e i cittadini dell’Isola d’Elba sono da tempo danneggiati dall’azione sistematica dei cinghiali... che mettono a rischio la biodiversità, la ricchezza di habitat naturali, la sostenibilità economica di alcuni settori come quello agricolo, l’appeal turistico, la conservazione e la sicurezza delle pertinenze domestiche, la sicurezza stradale e la sicurezza generale dei cittadini e, non ultimi, alcuni beni del patrimonio culturale".
Tutto questo a causa del cinghiale "da considerarsi INVASIVO in quanto ibrido artificiale alloctono, immesso a partire da 1963 per esclusivi scopi venatori".
Di tutto questo si attribuisce la principale responsabilità alla caccia, senza chiamare in causa altri soggetti pubblici e privati che a mio parere non solo hanno avuto ed hanno responsabilità più gravi, ma sono altresì colpevoli di una situazione che oggi, con l'arrivo in alcune zone del paese della peste suina, si sta aggravando ancora di più, senza che nessuno voglia prendere concreti provvedimenti.
Quello dell'Elba non è un caso straordinario come vorrebbero far credere questi del comitato (a cui aderiscono pure Legambiente e Coldiretti), ma rispecchia una realtà come sappiamo ben più diffusa che chiama in causa le scelte pseudo ambientaliste di questo paese, condotte quasi esclusivamente con fini antivenatori dal mondo politico, su spinta soprattutto mediatica da parte di quel certo ambientalismo che spesso trae sostanza vitale da categorie interessate a sviare l'attenzione sulle proprie responsabilità. Intendo dire che, aldilà dell'Elba, ma anche e soprattutto all'Elba, il cinghiale (come altre specie selvatiche) ha trovato e trova nei parchi e nelle aree protette un habitat perfetto per riprodursi e diffondersi ovunque. Proprio all'Elba, infatti, nel ventennio che ha preceduto la costituzione a parco, il cinghiale non aveva dato problemi, così come in molte altre parti d'Italia. Perdipiù, sono ormai oltre dieci anni che autorevoli ricercatori e scienziati, non solo italiani, attribuiscono quelle responsabilità (cioè la proliferazione di specie opportuniste) alla sciagurata gestione delle nostre aree protette.
Quanto alle criticità endemiche dell'Elba, che per certi versi possono essere riscontrate specularmente più o meno ovunque, non farebbe male ai nostri governanti porre l'attenzione all'abbandono delle forme tradizionali di uso del suolo e alla conseguente riduzione dell'eterogeneità ambientale. Come a dire che nei parchi, a parte non solo il divieto di caccia ma anche un controllo corretto della fauna problematica (cani inselvatichiti e gatti compresi), poco o niente si fa. Salvo andare da un estremo all'altro: dalla pietistica operazione dei mufloni del Giglio alla sciagurata richiesta di eradicazione dei cinghiali che affollano il "buen retiro" di Napoleone.
Italo Martini
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