Il sondaggio realizzato dall’istituto Nomisma per Federcaccia nell’ambito della ricerca Il valore della caccia in Italia, ha fatto emergere più che mai il livello di analfabetismo funzionale e di ignoranza degli italiani riguardo a questo tema. Legittimo, ci mancherebbe. Se non fosse però che molti, troppi, pensano di essersi formati un’opinione basata su elementi reali.
La scienza chiama bias cognitivi le opinioni confuse con i fatti che giustificano le proprie posizioni. Proprio per far emergere questi cortocircuiti, il sondaggio chiedeva di rispondere con un vero o falso ad alcune affermazioni proposte. Da queste interviste emerge per esempio che l’’85% dei cittadini italiani ignora che sia consentito cacciare uccelli migratori, che il 78% non sa che i cacciatori possono entrare per legge nei terreni privati, e che il 71% non è a conoscenza del fatto che sia possibile cacciare specie che sono in squilibrio numerico.
La contraddizione diventa palese quando poi di fronte a domande circostanziate, si è portati a capirne di più. Ed infatti il 59% si ritrova ad ammettere che la presenza sempre più diffusa di animali selvatici in ambienti urbani è indice di un serio problema ambientale. Il 43% arriva a sostenere che la presenza regolata di animali selvatici rappresenta un problema per la sicurezza e l'incolumità delle persone. Il 40% comprende che se non si regolano le specie selvatiche si arrecano danni a boschi, campi e prodotti della terra e che esiste una problematica relativa agli incidenti stradali causati dagli animali. Scende al 34 % la percentuale di persone che sono d’accordo sul fatto che ci sono anche problemi di competizione interspecie che comportano la progressiva scomparsa di animali autoctoni e al 29% la percentuale dei consapevoli dei danni agli argini dei fiumi provocati per esempio dalle nutrie.
Quando poi si chiede come si sono formati la propria opinione (per il 32% ricordiamo, fortemente contraria alla caccia + il 16% mediamente contrario), il 32% degli intervistati risponde bellamente che non si è formato da nessuna parte e che semplicemente ha ugualmente una propria opinione (campata per aria). Solo il 10% degli italiani interpellati dichiara di non aver un’opinione chiara e definitiva sull’argomento.
Si è anche delineato il profilo dell’anticaccia: prevalentemente donne con alti livelli di istruzione, sopra i 40 anni, che vivono in grandi contesti urbani e che nel 38% dei casi dichiarano di non essere particolarmente informate/i. All’estremo opposto, tra i fortemente favorevoli all’attività venatoria si evidenzia una maggior frequenza tra gli uomini, appartenenti alle classi di età più estreme: dai 18 ai 29 anni da una parte e di età superiore ai 65 anni dall’altra. Risiedono in contesti di piccole dimensioni (comuni inferiori a 10.000 abitanti) e hanno un medio livello di istruzione. Diversamente dai fortemente contrari all’attività venatoria, sono più informati sull’attività venatoria e sulle leggi che le regolano, solo il 21% di essi si dichiara non particolarmente informato.
In generale quando si ha una visione basata su elementi certi e una conoscenza diretta degli argomenti, le opinioni diventano meno estreme e più realistiche. Nello specifico se si conoscono le tante regole che ruotano attorno a questo mondo, e se si comprende quanto di positivo porta alla protezione dell'ambiente, sulla caccia non si può che avere un’opinione favorevole.
A maggior ragione se si guarda quanti dichiarano di apprezzare la carne di selvaggina. Si stima infatti che su 45 milioni di maggiorenni che si nutrono di carne, il 62% mangia anche piatti a base di cacciagione. Frequentemente nei ristoranti ma ben 23 milioni di italiani sarebbero anche disposti ad acquistarla per il consumo domestico se solo questa carne, universalmente riconosciuta come sostenibile e sana, si trovasse più facilmente nella grande distribuzione.
Cinzia Funcis
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