Vincere il premio Pulitzer non è certo impresa semplice. E non è facile nemmeno fare dell’ottimo giornalismo, di quello destinato a passare alla storia.
Ma fare dell’informazione dignitosa e soprattutto corretta, dovrebbe e potrebbe essere abbastanza più semplice. Basterebbe avere un’accettabile padronanza della lingua italiana; conoscere l’argomento di cui si scrive, ed eventualmente cercare conferme o smentite alle notizie e ai dati forniti dalle varie fonti. Soprattutto, però, bisognerebbe essere intellettualmente liberi, senza il condizionamento di compiacere il direttore e l’editore o con il desiderio di seguire una moda cercando di blandire sdolcinatamente una buona parte dei destinatari ai quali ci si rivolge. Lettori e ascoltatori che, nella maggior parte dei casi, desiderano solamente che qualche firma “autorevole” li rassicuri nei loro convincimenti che sono molto spesso frutto di scarsa conoscenza.
Purtroppo però, la lettura di alcune Agenzie di questi ultimi giorni, e faccio anche i nomi e i cognomi per chi avesse voglia di controllare: Asca, Dire, La nuova agenzia Radicale ecc. dimostra che anche fare della semplice e onesta informazione è difficilissimo, se non proprio impossibile.
Almeno per chi ha il paraocchi dell’ideologia più oltranzista e decide di fare propaganda e non comunicazione. Tanto per dimostrare l’assoluta superficialità con la quale spesso si prepara un servizio, basta riportare due brani di una nota dell’Agenzia Dire che, fra le altre cose, scrive: “...L'Unavi, l'Unione nazionale delle associazioni venatorie italiane, ha calcolato che il giro d'affari annuale legato alla caccia è di tre miliardi di euro. E allo stato frutta, ogni anno, almeno 150 milioni di euro.... Il presidente di Federcaccia, Franco Timo, ha ricordato che i cacciatori pagano tre tasse...” Davvero un’informazione attuale, circostanziata e con tanto di citazioni. Peccato che l’Unavi sia stata sciolta ben 5 anni fa (10 dicembre 2004!) e che Franco Timo non presieda più la Federcaccia da oltre cinque mesi!
Ma queste sono nient’altro che insignificanti quisquilie sulle quali, al massimo, si potrebbe sorridere. Il tragico viene quando la stessa Agenzia, insieme alle altre sopra citate, si avventura con aggettivi coloriti e di grande impatto emotivo, sul resoconto delle vittime che la caccia mieterebbe ogni anno. Ebbene, per dimostrare che le loro notizie sono esatte, citano come fonti meritevoli della massima attendibilità nientepopodimeno che due benemerite associazioni come “Caccia il cacciatore” e “Associazione Vittime della caccia”.
Come più volte stigmatizzato dal CNCN, che ha commissionato accurate analisi sugli incidenti occorsi in varie attività ricreative e sportive, tali dati sono palesemente infondati e in alcuni casi spudoratamente falsi. Andiamo per ordine. Caccia il cacciatore, per dimostrare la sua terroristica tesi sulla enorme pericolosità della caccia, compila un accurato elenco di morti e feriti, e in una sorta di somma impropria, aggiunge alle vere e proprie vittime dell’attività venatoria (21 nel 2008) altrettanti poveri cristi che hanno abbandonato questa valle di lacrime per colpa di un infarto (nelle case italiane ne avvengono circa 160.000 ogni anno!) oppure a causa di un incidente automobilistico o per una sciagurata caduta. Ma siccome il numero, anche con questo “astuto” escamotage, risulta ancora basso, ogni anno –per errore, per carità, non certo per dolo– ci aggiungono anche qualche omicidio o, come è accaduto a gennaio di quest’anno, spacciano per morto e sepolto un mio amico che si è perfettamente ripreso dall’incidente di cui è stato vittima.
Ma il cinismo di questo annuale esercizio contabile è niente se paragonato al turpe squallore dell’associazione Vittime della caccia. Questo organismo, infatti, ha escogitato un trucco ancora più subdolo per dipingere l’attività venatoria con tinte che più fosche non si potrebbe. Alla collaudata metodologia dell’altra associazione –alla quale peraltro sembrerebbe connessa da misteriosi legami e da comuni personaggi– inserisce un tocco di pura genialità, e agli infartuati, ai caduti in una scarpata o ai morti in incidenti automobilistici, addiziona con noncuranza tutte quelle morti che ogni anno vengono causate da fucili “da caccia”. E il gioco di prestigio è fatto: il numero già gonfiato di 40 si raddoppia per incanto e l’intento di suscitare sdegno e panico nell’opinione pubblica e nei partiti politici è brillantemente raggiunto.
Ora, a prescindere dal fatto che ci vuole davvero una buona dose di faccia tosta per spacciare per incidente di caccia una rapina con la lupara o il suicidio di un povero pensionato depresso, bisogna aggiungere –sempre ad onor del vero– che una lettura poco più che superficiale della cronaca nera annuale, dimostra che le vittime del fucile rappresentano una percentuale infima nei confronti di quelle causate da coltelli, bastoni, martelli e altri mezzi. Non solo, ma se il criterio seguito da Vittime della caccia fosse esatto, sarebbe interessante sapere se tutti gli omicidi (anche plurimi) compiuti con coltelli da cucina possono e debbono essere considerati incidenti domestici.
Senza dubbio, i ventuno morti (reali) dovuti alla caccia nel corso del 2008, rappresentano una tragedia umana sulla quale è doveroso attirare l’attenzione di tutti i cacciatori, invitandoli ad adottare il massimo dell’attenzione e della cura nella custodia, nel trasporto e nell’uso delle armi. Ma ritengo che sia disgustoso speculare su queste povere vittime e sul dolore delle loro famiglie per suffragare una tesi del tutto ideologica che, tra l’altro, se ne infischia altamente delle centinaia e centinaia di morti causate ogni anno dalla balneazione, dall’alpinismo, dall’attività subacquea, e da decine di altre attività semplicemente ricreative, come l’escursionismo o la raccolta di funghi.
Sono ormai anni che ad ogni vigilia di apertura, tante “informatissime” Agenzie di stampa ci risputano addosso questi dati velenosi e assurdi e che dovrebbero venire ignorati così come si fa con tutte le notizie palesemente propagandistiche.
Bisogna notare, però, che ogni anno che passa, sono sempre meno i grandi quotidiani che cadono vittime di questo tranello. In questa vigilia 2009, infatti, la stampa quotidiana nazionale si è ben guardata dal riportare i numeroni a sensazione sfornati da queste associazioni e, almeno ad oggi, la campagna di allarmismo sembra aver perso lo smalto del passato.
C’è infine un’ultima annotazione da fare: a pensarci bene, queste virulente campagne annuali di disinformazione stanno a dimostrare che gli anticaccia italiani soffrono di una assoluta mancanza di argomentazioni di natura tecnico-scientifica contro un corretto esercizio venatorio e quindi contro un prelievo faunistico che sta assumendo sempre di più i connotati di un intervento provvidenziale per il benessere di tante specie selvatiche ma anche per la difesa delle produzioni agricole e della stessa biodiversità. Solamente nel nostro “ecologissimo” Paese, dove prosperano quasi un’ottantina di associazioni “ambientaliste”, e dove i fondali marini sono tappezzati di rifiuti tossici di varia natura, si assiste ad uno sperpero così ingente di risorse umane ed economiche, che vengono indirizzate ostinatamente ed in via pressoché esclusiva contro la caccia (basti pensare che solo i vari ricorsi ai TAR costano molte decine di migliaia di euro) anziché contro gli innumerevoli scempi ambientali che si commettono in ogni dove.
Altrove, in Europa –beati loro– le organizzazioni dei cacciatori non si limitano, come avviene in Italia, a dar vita a isolati e quasi emarginati nuclei di protezione civile o di vigilanza ambientale, ma svolgono queste attività fianco a fianco con le organizzazioni ambientaliste. E solo uno sciocco potrebbe non comprendere la grande potenzialità di questa sinergia. Ed altrove, in Europa –ancora beati loro– i figli dei cacciatori o i loro nipoti, possono tranquillamente cominciare ad apprendere l’arte venatoria. Con il beneplacito delle leggi statali e di una normativa comunitaria che prevede espressamente questa opportunità; e senza che l’opinione pubblica e la classe politica si facciano venire crisi isteriche.
Certo, è indubbio che il clamore mediatico sui dati forniti dagli animalisti più intolleranti comincia a scemare, ma questo non ci autorizza ad abbassare la guardia. Anzi.
E il Web, per merito di portali come Big Hunter ed altri, può aiutare i cacciatori italiani ad acquisire una vera identità comune e a conoscere le notizie con le quali poter controbattere, in ogni sede, la disinformazione di cui siamo vittime.