Dai commenti interessati di gente che non ci ama e cerca anzi ogni pretesto per attaccare noi e la nostra passione venatoria, qualcuno potrebbe pensare che la caccia sia la sola materia, o quasi, per la quale l’Italia corre il rischio di sanzioni per procedure d’infrazione da parte dell’Unione Europea.
E’ bene dire con chiarezza che non è così, e non ci riferiamo solo all’arcinota vicenda delle “quote latte”.
Altrettanto chiaramente, perché non ci siano equivoci, diciamo anche che questa sottolineatura non mira a sottovalutare le questioni che ci riguardano mascherandole dietro il vecchio andazzo del “mal comune mezzo gaudio”: i cacciatori devono anzi essere consapevoli che il rischio è serio e che se non si pone rimedio le conseguenze possono essere gravi non solo per il passato ma anche per il futuro.
Tuttavia, affermata questa consapevolezza, bisogna anche ristabilire la verità dei fatti su un rapporto, quello fra l’Italia e l’Europa sotto il profilo del rispetto formale e sostanziale delle norme comunitarie, problematico da sempre e non certamente soltanto sulla caccia.
I numeri pubblicati sul sito web del Dipartimento Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri riferiscono di un totale di 136 procedure d’infrazione a carico dell’Italia attualmente in corso presso la UE, di cui 98 per violazione del diritto dell’Unione e 38 per mancato recepimento di direttive.
Al primo posto il settore dell’ambiente con 33 procedure, poi fiscalità e dogane con 17, lavoro con 11, salute e trasporti con 10 cadauno. Seguono altri settori con numeri minori di casi, dall’agricoltura alla libera circolazione di merci, dagli appalti alla giustizia e via dicendo.
Allo stato dell’arte, per 59 di queste 136 procedure siamo allo stadio della messa in mora (più 8 casi di messa in mora complementare), in altre parole all’ invito di trasmettere osservazioni in tempi perentori con l’avvertimento che, se le osservazioni non arrivano o non sono giudicate adeguate, la Commissione si riserva il diritto di adire la Corte di giustizia, con la conseguenza di possibili sanzioni pecuniarie.
Fra i casi di messa in mora, e dunque fra quelli per i quali il Governo ha termini perentori per dare risposte, ci sono le norme italiane di recepimento della direttiva 79/409 CEE comprese le deroghe e molti provvedimenti sulle deroghe stesse adottati dalle Regioni: la lettera della Commissione Europea è datata 24 novembre 2011, il tempo assegnato per le osservazioni è di due mesi, dunque la scadenza è fra pochissimi giorni.
Non servono allarmismi e neppure, al contrario, sottovalutazioni: servono decisioni puntuali, rigorose, rispettose del quadro europeo e degli interessi italiani, compresi quelli dei cacciatori i cui diritti sono invece stati, sovente, considerati un optional da una politica pronta alle dichiarazioni e alle promesse elettorali e molto meno impegnata a mantenerle.
Oggi siamo di fronte a due esigenze: rispondere in modo adeguato alle contestazioni che riguardano il passato, sanarne le difformità, evitare così sanzioni; predisporre norme, regole, procedure, strumenti per garantire che d’ora in avanti le Regioni possano decidere l’adozione del prelievo in deroga in un contesto di certezze, sia per quanto riguarda i provvedimenti volti alla tutela dell’agricoltura sia per quanto riguarda la difesa delle forme tradizionali di caccia.
Entrambi gli aspetti sono importanti e vanno affrontati contemporaneamente. In giorni nei quali siamo abituati a sentir parlare di fase uno e fase due, nel nostro caso non esiste una tempistica differenziata, dal momento che l’accoglienza che l’Europa farà alle spiegazioni e giustificazioni sul passato dipende moltissimo dal quadro regolamentare che l’Italia, contestualmente, saprà adottare e presentare a valere per il futuro: l’Italia, in parole povere, deve saper dire all’Europa “guardate, ho sanato il passato adottando queste regole per il futuro, regole che impediranno d’ora in poi il ripetersi di fatti come quelli contestati”.
Per questo, però, non bastano dichiarazioni e professioni d’impegno: sono indispensabili atti, precisi ed inequivocabili. Probabilmente integrazioni alla normativa, certamente interventi attuativi delle norme esistenti.
In proposito, da oltre un anno e mezzo si attende il DPR, previsto dalla legge, con le Linee Guida per l’esercizio delle deroghe ex lettera a) comma 1 art. 9 della Direttiva ; inoltre, poichè le Linee Guida non affronterebbero il problema delle deroghe per la difesa delle forme tradizionali di caccia (art. 9 comma 1 lettera c) della Direttiva), è urgente affrontare subito anche questa questione sulla quale pesa l’evidente inadeguatezza (voluta o no che sia) dell’Istituto preposto (Ispra) che continua a rispondere di non poter fornire i numeri del possibile prelievo perché gli mancano i dati.
Su entrambi i punti le soluzioni, se c’è la volontà di affrontare seriamente i problemi, sono a portata di mano e sono state ripetutamente proposte e sostenute da più parti: rapida emanazione di Linee Guida concertate con le Regioni, riconduzione dell’Ispra al rispetto dei suoi compiti e doveri.
L’auspicio e la speranza è che, su atti che non appaiono affatto complicati dal punto di vista “tecnico” ma che più di una volta hanno patito le indecisioni della politica, il Governo attuale abbia meno remore ed incertezze, e proceda con razionalità, efficienza ed equilibrio: criteri dai quali la caccia e la gestione ambientale e faunistica, purtroppo spesso terreni di scontro ideologico e di demagogie, avrebbero solo da guadagnare.
Pietro Gori
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