I rappresentanti delle associazioni venatorie hanno potuto dire la loro sulla proliferazione dei cinghiali, in vista di una riforma della normativa a partire dalle soluzioni Cenni e Bernini, all'esame in Parlamento. All'audizione, svolta alla Commissione Agricoltura della Camera, sono intervenuti i Presidenti Lamberto Cardia (Enalcaccia), Osvaldo Veneziano (Arci Caccia), Gianluca Dall'Olio (Federcaccia), Paolo Sparvoli (Libera Caccia) e Giancarlo Lippi (Eps). Tutti, chi più chi meno, hanno sottolineato la necessità di aggiornare la 157 e la legge sui parchi.
Ecco in breve, il contenuto degli interventi.
Lamberto Cardia (Enalcaccia) ha chiesto di ricomporre gli equilibri ormai compromessi, iniziando dalla gestione nelle aree protette. Anzitutto modificando la legge sui Parchi e prevedendovi la rappresentanza del mondo venatorio nei consigli direttivi. Cardia pensa anche ad un sistema di commercializzazione della fauna selvatica e all'avvio di un tavolo tecnico scientifico con i rappresentanti di tutti i soggetti interessati, che coinvolga i cacciatori nella risoluzione di problemi legati alla fauna in eccesso. Anche per Paolo Sparvoli (Libera Caccia), la responsabilità della situazione è da attribuire alla gestione dei Parchi. Il rappresentante Anlc chiede un ampliamento dei periodi di prelievo e la possibilità per i cacciatori di entrare nelle aree protette. “Vogliamo gestire i Parchi - ha detto Sparvoli -, li gestiremmo meglio di come fatto finora”.
Osvaldo Veneziano, ha iniziato il suo intervento riconoscendo le responsabilità del passato del mondo venatorio in merito a ripopolamenti “senza senso” di cinghiali. Per il rappresentante di Arci Caccia ci vuole una nuova normativa specifica che istituisca un ente capace di occuparsi della fauna selvatica al di fuori dei confini amministrativi (superando quindi la gestione precaria degli Atc), che si ponga il fine della gestione di specie problematiche. Per Veneziano occorre coinvolgere maggiormente le regioni per una mappatura più puntuale dei danni, sotto la supervisione dell'Ispra.
Gianluca dall'Olio (Federcaccia) ha invece portato in evidenza il problema della dispersione dei fondi provenienti dalle tasse dei cacciatori, attribuiti al ristoro dei danni causati dalla fauna selvatica, ma di fatto impiegati diversamente. Per il presidente Fidc si assiste al fallimento della gestione faunistica perché manca lo Stato, a cui spetterebbe per esempio il compito di delineare delle linee guida di intervento per le Regioni e quello di attribuire le opportune risorse per arricchire l'attività scientifica dell'Ispra. “Siamo tenuti a compilare i tesserini venatori ma manca un data-base che fornisca i dati complessivi degli abbattimenti” ha detto Dall'Olio. Altre risorse potrebbero essere impegnate per costruire un cacciatore più attento e partecipe ai problemi del patrimonio faunistico e per aumentare il livello di sicurezza a caccia.
Ha chiuso gli interventi Giancarlo Lippi, dell'Ente Produttori Selvaggina. Sulla questione, “Il re è nudo” ha detto il rappresentante Eps: si dimentica che il più importante soggetto di fatto in gioco sono le squadre dei cinghialai, che da sole abbattono il 93 – 94% dei cinghiali sul territorio. Senza coinvolgere le squadre, per Lippi non si va da nessuna parte. I cinghialai – ha ricordato - , vanno nella direzione opposta al contenimento, interessati, giustamente, a mantenere un numero significativo di capi da cacciare nelle stagioni successive. La soluzione? “Bisogna coinvolgerli. Farli diventare interlocutori primari con identificazione in relazione al territorio a loro assegnato, assegnando loro una Partita Iva e attribuendo loro la responsabilità dei danni nei territori limitrofi". Occorre insomma attribuire un numero di prelievi alla squadra e addebitarle i danni in caso di mancato raggiungimento del contingente stabilito.