L’impatto e i danni causati all’agricoltura, ma anche nei centri abitati, dai piccioni inselvatichiti è da tempo oggetto di diatribe sulle modalità con cui affrontare il problema. Si segnala, infatti, che il piccione domestico inselvatichito (definizione riconducibile al risultato degli incroci avvenuti tra esemplari addomesticati, fuggiti dalle colombaie di allevamento, con popolazioni selvatiche) debba considerarsi a tutti gli effetti una specie soggetta alla tutela prevista dalla Direttiva 2009/147/CE.
La Commissione europea, infatti, ha chiarito che i Piccioni selvatici che vivono a contatto con l’uomo e che non sono di proprietà di alcuno (come nel caso del “colombo” o del “piccione “torraiolo”) rientrano nel campo di applicazione della Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE e che la “Columba livia”, come “specie vivente naturalmente allo stato selvatico” è inserita tra le specie presenti nell’elenco di cui all’allegato II, parte A della Direttiva citata ed alla quale si deve rimandare per la definizione delle azioni di conservazione, gestione e regolamentazione.
Questo inquadramento sgombra il campo rispetto alla possibilità di effettuare il contenimento della specie attraverso provvedimenti varati da autorità locali, basati su una tesi diversa: sul fatto, cioè, che tali animali, nella loro “variante domestica”, perdano lo status di uccelli selvatici e quindi la protezione loro garantita dalla Direttiva Uccelli.
L’inefficacia di questo approccio è dimostrata dalle numerose sentenze di revoca, come risultato di ricorsi ai vari Tar, delle ordinanze emesse negli ultimi anni dai sindaci per il contenimento e l’abbattimento dei piccioni selvatici. Spicca tra queste il riferimento all’art. 2, comma 2, della legge n. 157 del 1992, norma statale in materia di tutela ambientale e dell’ecosistema. Come già anticipato, infatti, in molte ordinanze il piccione domestico inselvatichito, per poter essere oggetto di contenimento ed abbattimento, è stato classificato tra le specie escluse dalla nozione di fauna selvatica (inquadramento poi chiarito della Commissione europea) e, quindi, secondo il principio di prevalenza della disciplina ambientale - come anche sancito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 12 dicembre 2012 - le ordinanze di questo tipo sono state dichiarate costituzionalmente illegittime.
Lo strumento dell’ordinanza sindacale, tra l’altro, ha prestato il fianco anche ad altri tipi di ricorso, come nel caso di provvedimenti che autorizzano l’abbattimento dei piccioni inselvatichiti senza prevedere preventivamente metodi ecologici (come da parere Ispra del 15 giugno 2010) che evitino il ricorso a detta pratica, sia essa posta in capo a soggetti pubblici (Vigili del Fuoco, Agenti Polizia Provinciale ed ausiliari, etc.) o privati (cacciatori ed agricoltori in possesso di regolare licenza di caccia). Al proposito si segnalano numerose sentenze di revoca, come quelle del Tar Toscana - Firenze, Sez. II, 16 giugno 2011, n. 1076; Tar Emilia Romagna - Bologna, 29 novembre 2011, n. 812; Tar Piemonte, Sez. II, 6 marzo 2012, n. 318 e 27 giugno 2013, n. 826; Tar Lazio - Roma, Sez. II bis, 15 gennaio 2014, n. 525 e 1° aprile 2015, n. 4923). Su questa stessa motivazione si registra, ancora, anche una sentenza della Corte costituzionale (n. 303 del 12 dicembre 2013) che sancisce l’illegittimità dell’operato in materia da parte della Giunta regionale della Campania.
Resta fermo, tra l’altro, il principio secondo il quale il contenimento dei piccioni inselvatichiti per la tutela della semina autunnale deve essere programmato per tempo e seguire le procedure di cui all’art. 19, comma 2, l. 157/1992, evitando il ricorso all’abbattimento sancito da ordinanze emesse per ragioni di contingibilità ed urgenza (Tar Toscana - Firenze, Sez. I, 30 maggio 2012, n. 1043; Tar Emilia-Romagna - Bologna, Sez. II, 21 marzo 2013, n. 228).
Chiarito l’inquadramento giuridico del “piccione domestico inselvatichito” ed evidenziata l’inefficacia dei provvedimenti comunali, il problema dei piccioni va ricondotto a quello più generale degli impatti e danni causati dalla fauna selvatica. In merito a ciò si ricorda che la fauna selvatica, dal punto di vista giuridico, è patrimonio indisponibile dello Stato, così come disposto dalla legge 11 febbraio 1992, n.157 Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. La stessa legge, inoltre, attribuisce alle Regioni la competenza in materia di normativa, di programmazione e gestione dell'attività venatoria (nel rispetto dei princìpi generali della legislazione quadro nazionale e delle norme internazionali).
Tuttavia, fino ad ora, le misure di gestione della fauna selvatica previste in via generale dalla legge n.157 cit. non si sono rivelate efficaci. D’altra parte, la complessità dell'iter a carico degli enti territoriali (province, regioni, Ispra, Atc, enti parco) necessario per effettuare i prelievi della fauna ha reso il procedimento amministrativo, in alcuni casi, quasi inapplicabile. Eppure, secondo le stime, le perdite economiche causate dalla fauna selvatica alle colture - la maggior parte delle quali riconducibili ai cinghiali - superano i 70 milioni di euro annui (in molti casi rimborsati solo parzialmente agli agricoltori).
Per il contenimento dei piccioni e di tutte le altre specie selvatiche, vista la particolare incidenza sulle attività agricole e considerata l’emergenza in atto ed i tempi necessari per una eventuale modifica normativa, sarebbe opportuno, quindi, avviare al più presto un percorso da parte del Ministero dell’Ambiente con le Regioni e le Province autonome, competenti per la gestione delle problematiche indicate, procedendo alla stipula di un apposito accordo di programma (caratterizzato dalla stesura di specifiche linee guida), elaborato ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Tale norma, infatti, prevede che Governo, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione e nel perseguimento di obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia dell'azione amministrativa, possono concludere in sede di Conferenza Stato-regioni accordi al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune. Lo strumento indicato, quindi, è da ritenere una modalità utile e più flessibile per affrontare tempestivamente le questioni emergenti in materia di fauna selvatica, evitando soluzioni estemporanee e dettate dalle emergenze che rischiano di rivelarsi inefficaci (Coldiretti). |