La Corte Costituzionale in questi giorni ha rigettato il ricorso di legittimità costituzionale (dichiarandone l'inammissibilità) sulla legge regionale delle Marche che consente ai cacciatori di partecipare ai Piani di controllo del cinghiale. La questione era stata aperta dal Tar delle Marche a seguito del ricorso presentato dalla Lac (Lega per l'Abolizione della Caccia) e altre associazioni animaliste per l'annullamento del Piano di Controllo regionale del Cinghiale anni 2018-2023.
Veniva in particolare contestato l’art. 25 nella parte in cui, al comma 2-bis, prevede che la Regione possa autorizzare il prelievo del cinghiale in forma collettiva, con il metodo della braccata e della girata, in tutte le zone e nei periodi preclusi alla caccia, tramite i soggetti che abbiano conseguito l’abilitazione provinciale per esercitare la caccia al cinghiale in forma collettiva, con priorità per i cacciatori residenti e dell’Ambito territoriale di caccia (ATC) interessato; oltre che il comma 3 dell’art. 25 che, per l’attuazione dei piani di controllo della fauna selvatica, consente di avvalersi di operatori muniti della licenza di caccia all’uopo autorizzati e selezionati attraverso appositi corsi di preparazione alla gestione faunistica.
Secondo la Corte "Manca, dunque, una motivazione idonea alla ricostruzione del percorso logico seguito dal TAR Marche, che non ha esposto perché l’inclusione dei cacciatori, dotati di specifici requisiti di qualificazione e che operano sotto il coordinamento e il controllo del personale della Provincia, nell’elenco degli attuatori dei piani di controllo del cinghiale incida in senso peggiorativo sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e comporti la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost."
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