La gestione italiana dei Parchi non funziona: spende più di quello che guadagna e immobilizza interi territori concepiti nei secoli come paesaggi rurali, da sempre funzionali alle economie delle migliori produzioni enogastronomiche di qualità. Se i territori rurali vengono chiusi nei recinti fisici e burocratici dei Parchi, spesso si tagliano le gambe anche a queste importanti produzioni, sacrificate da vincoli che spesso non permettono nemmeno di potare alberi e ripristinare terreni per evitare il dissesto idrogeologico. Con il risultato, per esempio, che abbandonati a se stessi i terrazzamenti tipici del paesaggio delle Cinque Terre, franano.
Ne ha parlato domenica scorsa un'inchiesta di Report, proprio in questi termini. La puntata verteva su paesaggio, borghi storici, valorizzazione turistica e carrozzoni pubblici. Tutti aspetti collegati tra loro. La bellezza dell'Italia che si vende all'estero è infatti costruita sul paesaggio rurale: i tipici terrazzamenti coltivati a viti o a ulivi, le dolci colline, i campi di girasoli, le mille etichette di qualità, i piccoli borghi storici.
Questa è l'Italia irriproducibile all'estero e che tutto il mondo ci invidia. Ma sotto la "protezione" dei Parchi Nazionali, tutto questo patrimonio fatto di tradizioni tramandate da secoli rischia di soccombere. Il pericolo è che un approccio totalmente inadeguato trasformi radicalmente il nostro bel Paese. I nostri Parchi infatti sono concepiti su un principio sbagliato perchè copiato pari pari da paesi totalmenti diversi dal nostro, come il Canada o la Norvegia, dove la natura è realmente incontaminata e caratterizzata da grandi distese di foreste selvagge. Lì ha senso vietare ogni intervento di manutenzione e imporre vincoli inderogabili. Qui si chiama autolesionismo.