Filippo avrebbe aggirato il costone di roccia dall’alto facendo un lungo giro ed Io mi sarei avvicinato dal basso, a passi lenti, coperto alla vista dai grandi massi di roccia che disseminavano il tragitto.
Se la manovra fosse riuscita avremmo preso la Brigata fra due fuochi.
Un fischio sommesso mi avrebbe avvisato dell’arrivo di Filippo sulla sommità del costone. Sostituii le leggere cartucce caricate col piombo n.8 con le più potenti semicorazzate armate col 5 e mi avviai.
Procedevo a passi lenti, evitando di fare rumore fra la sterpaglia che mi ostruiva il cammino. Cercavo sempre una copertura che mi celasse agli acuti occhi delle Cotorne. Se qualche tratto appariva troppo scoperto lo attraversavo carponi, quasi strisciando fra la vegetazione, mentre cardi selvatici ed ortiche mi martoriavano i palmi delle mani.
Il costone dove erano atterrate le Cotorne si faceva sempre più vicino e man mano che la distanza diminuiva sentivo accelerare i battiti del cuore per la crescente emozione.
Finalmente vi giunsi fermandomi ad una distanza di circa 20 metri.
Mi sistemai dietro un grosso masso in spasmodica attesa che il fischio di Filippo mi avvisasse del suo arrivo alla sommità della rupe.
Ad un tratto, tra le asperità del costone, notai un impercettibile movimento. Aguzzai gli occhi ed ecco che, in tutto il loro splendore, apparvero due Cotorne. Erano due esemplari adulti, bellissimi nella loro livrea di verde cupo che dal dorso degrada verso il marrone delle ali per trionfare nelle nere striature che segnano il candido pettorale e nel rosso vermiglio del becco. Un’apoteosi di colori che solo un pennello sovrannaturale avrebbe potuto concepire.
Non potevano vedermi e, fiduciose, si inseguivano giocosamente becchettando, di tanto in tanto, qualche bacca selvatica. Le vedevo, a tratti, irrigidire il collo e guardarsi intorno come se sospettassero qualcosa poi, rassicurate, tornavano ai loro giochi.
Rimasi talmente rapito da quella visione da dimenticare, per qualche istante, il motivo per cui mi trovavo in quel luogo. Poi l’istinto del Cacciatore prevalse e la mano sfiorò la fida doppietta.
Ma non sparai. Certo, avrei potuto farlo, ma qualcosa dentro di Me mi diceva che non sarebbe stato onorevole concludere così, con un tiro a fermo, quell’avventura così esaltante. Non sarebbe stato giusto nei confronti di Filippo con cui non avrei condiviso quell’esperienza irripetibile; non sarebbe stato giusto nei confronti di quegli splendidi animali che, certo, meritavano una maggiore chance di sopravvivenza ed, infine, nei confronti di Me stesso e dello Spirito Sportivo che ha sempre animato la Mia passione per la Caccia.
Attesi minuti interminabili sino a quando un sommesso sibilo portato dal vento mi avvisò dell’arrivo di Filippo alla sommità della rupe.
Mi preparai allo sparo assumendo la tipica posizione del tiratore di skeet nella imminenza dello sgancio del piattello, col calcio del fucile sotto l’ascella e la canna puntata verso l’alto.
Il silenzio opprimente che mi circondava fu, d’improvviso, squarciato dal roboante frullo di decine di ali proprio sopra la mia testa. Seguirono tre fucilate in rapida successione. Poi, per una frazione di secondo, nulla più.
Alzai gli occhi verso l’alto e, a non più di dieci metri, mi vidi sovrastare da una moltitudine di Cotorne, quindici forse venti esemplari, che in formazione compatta si lanciavano a capofitto verso il fondo della vallata.
Non esiste tiro più difficile della Cotorna in picchiata. Il riflesso dell’Uomo stenta a valutare la velocità dell’uccello che precipita, quasi a corpo morto, verso il basso. Si perdono i punti di riferimento e quasi sempre le fucilate difettano d’anticipo vanificandosi alle spalle dei selvatici.
Mirai all’ultimo della brigata che si manteneva un po’ più alto degli altri. Lo vidi cadere pesantemente portandosi dietro una scia di candide piume.
Il secondo colpo lo indirizzai al bersaglio grosso, contro il branco compatto che già aveva superato i quaranta metri. La MB bianca col piombo 5 fu molto generosa ed intravidi un uccello staccarsi dal gruppo e terminare la sua folle corsa contro un cespuglio di olivastro.
Dopo qualche minuto Filippo mi raggiunse; era raggiante per avere realizzato una splendida coppiola. Due meravigliosi esemplari facevano bella mostra di se fra le mani del Mio Amico. Un leggero pallore ed un impercettibile tremito delle mani tradivano un eccesso di adrenalina non ancora smaltito.
Recuperammo i miei due abbattimenti e, fucili in spalla, ci avviammo sulla strada del ritorno commentando lo svolgimento dell’azione di Caccia in tutti i suoi particolari.
Ma rimaneva un’ultima sorpresa a rendere quella giornata ancora più indimenticabile.
In ogni brigata di Cotorne che si rispetti c’è sempre “u vili” e cioè il soggetto che, in presenza di pericolo, si rifiuta di fuggire insieme agli altri e preferisce acquattarsi al suolo attendendo che la minaccia si allontani. Beh “u vili “ ci frullò sotto ai piedi e si beffò dei nostri fucili comodamente posti in posizione di riposo. ”Meglio cosi” commentammo, per nulla contrariati, “ha avuto coraggio e merita di vivere!”
Avevamo poco più di vent’anni, eravamo belli e forti e quel giorno rimane indelebile nella memoria, preziosa reliquia del nostro Tempo Migliore.
Giovanni Mangione
Tratto da RACCONTI DI CACCIA, PASSIONE E RICORDI
Raccolta di racconti in ordine di iscrizione al 3° concorso letterario “Caccia, Passione e Ricordi”
A cura di: Federcaccia Toscana – Sezione Provinciale di Firenze
[email protected] www.federcacciatoscana.it