Artusi e la selvaggina in tavola
Artusi e la selvaggina in tavola lunedì 15 settembre 2008 | |
La cacciagione entra alla grande nell’opera di Pellegrino Artusi. E non poteva essere diversamente, perché nella grande cucina delle corti italiane ed europee la selvaggina era presente fin dal Rinascimento. In Toscana, poi, la selvaggina a tavola era una prerogativa che si era ben presto estesa dai palazzi nobiliari alle mense della borghesia. Insomma, nelle corti italiane, da Mantova a Milano, da Firenze a Napoli, così come nelle mense della ricca borghesia cittadina e persino nelle mense vescovili e nei conventi, la selvaggina, anche se in modo meno spettacolare e sfarzoso, era sempre presente, sia come base indispensabile della cultura gastronomica, sia come segno di distinzione: ai ricchi benestanti si addicevano le carni, al popolo si addicevano gli erbaggi. Il libro racconta il mondo della mezzadria, delle fattorie con i paretai o le ragnaie per catturare gli uccelli, dei campi coltivati e delle rimesse boscose che costituivano l’habitat ideale delle starne, delle quaglie e delle lepri. C’era, però, anche il mondo delle coste marine, delle paludi maremmane e degli acquitrini che abbondavano in tante parti della Toscana, dove le bonifiche avevano lasciato vaste aree umide, regno degli acquatici di passo. C’era, insomma, un universo che parlava di campagna e di caccia. Perché nella vita dell’aristocrazia e della borghesia cittadina non c’era separazione, allora, fra città e campagna. L’integrazione fra i due mondi era anzi naturale. Così come naturale fu la capacità di Pellegrino Artusi di integrare e dare dignità nazionale a quella congerie di tradizioni regionali che caratterizzava la gastronomia italiana prima del 1891, anno di pubblicazione della prima edizione de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Artusi e la selvaggina in tavola
Autore: Zeffiro Ciuffoletti
Editore: Olimpia
Anno di pubblicazione: 2002 |
Leggi su gli altri libri | |