Procediamo con il giro di interviste proposto agli Assessori Regionali alla Caccia, presentando questa volta le risposte inviate alla redazione di BigHunter.it dall'Assessore regionale alla caccia in Abruzzo, Mauro Febbo.
Come ben saprà i cacciatori italiani sono sempre più esasperati da una situazione non più sostenibile per la facilità con cui i calendari venatori, anche se sempre più restrittivi, vengono invalidati dai ricorsi al Tar, almeno fino alla trattazione di merito. Alla luce di ciò che è accaduto durante la stagione venatoria 2013 2014, con le continue sospensioni della caccia che hanno coinvolto diverse regioni (per esempio Liguria, Sardegna, Lazio, Campania), come pensa di affrontare la prossima stagione venatoria per dare certezze ai cacciatori della sua regione?
Esattamente andando nella direzione intrapresa quest’anno. Capisco che molti sono balzati dalle sedie ma ricordo a tutti che la stessa fase che stanno percorrendo queste regioni l’Abruzzo l’ha dovuta affrontare negli anni scorsi. La realtà e’ che viviamo uno scollamento tra varie parti del territorio italiano in tema di programmazione venatoria determinato da diversi fattori, primo fra tutti il fatto che regioni come l’Abruzzo hanno dovuto sopportare la presenza molto piu’ ingombrante, rispetto ad altre regioni, delle associazioni ambientaliste, con il risultato che qui i calendari venatori sono stati impugnati prima di altre regioni, da parte di associazioni con marcata deriva animalista e con personale tecnico preparato. Per questo con orgoglio affermo non solo che la strada intrapresa dalla Regione Abruzzo e’ giusta, ma che e’ nostra intenzione, dal 2014 in poi, continuare a rafforzare i nostri punti forti, che ci hanno permesso, in brevissimo tempo, di resistere davanti ai TAR, con il valore aggiunto di aver dovuto affrontare tutte le problematiche comuni alle altre regioni italiane con l’aggravio delle dinamiche connesse alla concentrazione, la piu’ alta in Italia, di aree protette. Non a caso l’Abruzzo viene definito la regione verde d’Europa.
Una recente sentenza riferita al Calendario venatorio toscano ha confermato che l'Ispra fornisce sistematicamente dati non aggiornati e che su questi basa i suoi pareri tecnici sulle scelte regionali in fatto di caccia. In quella occasione, come in molte altre simili, il Tar ha anche acclarato che si possono ottenere dati molto più rispondenti alla realtà rivolgendosi ad altri istituti scientifici, come per esempio Università o osservatori regionali. Pensa che in futuro sarà questa la strada?
L’ISPRA ce la invidiano in tutte le parti d’Europa, tanto è che la Comunità Europea tiene particolarmente conto dei pareri espressi dall’Istituto. Oggi come la maggior parte degli Enti pubblici l’ISPRA sta vivendo un periodo di restrizione economica-finanziaria. Non dimentichiamoci che solo da pochi anni l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica è stato accorpato ad altri Istituti e questo, come in tutte le fasi di cambiamento, ha portato ad una fase di riorganizzazione della struttura. Il problema fondamentale è che oggi in gran parte delle pubbliche amministrazioni gli Uffici competenti in gestione faunistica sono sotto organico e spesso non hanno tecnici qualificati, esperti del settore. Oggi la caccia va gestita anche sotto il profilo tecnico scientifico e non solo sotto l’aspetto sociale. Per questo negli ultimi anni ho rivoluzionato l’assetto organizzativo degli uffici regionali e della mia segreteria politica. Fondamentale è stato prevedere l’assunzione in comando presso la Regione di un tecnico faunista e di integrare la mia segreteria con un esperto nella comunicazione, profondo conoscitore delle dinamiche sociali che regolano il mondo venatorio. Tutto questo ha portato l’Ente ad una stretta collaborazione con l’ISPRA mettendo in campo progetti molto importati ai fini della conservazione di alcune specie cacciabili come la coturnice e la beccaccia e sperimentando forme di caccia compatibili con la presenza dell’Orso bruno marsicano. Oggi siamo l’unica regione in Italia dove è ancora possibile il prelievo della coturnice e della lepre europea nelle aree di presenza della lepre italica.
A differenza di quanti affermano il contrario, và inoltre rafforzata, così come previsto dal legislatore europeo, il sistema di collaborazione tra gli organismi nazionali aventi analoghi compiti e finalità ed il mondo universitario. In questo senso va anche il master di secondo livello in wild life management, istituito dalla regione Abruzzo con la collaborazione dell’Universita’ D’Annunzio e l’ISPRA al fine di formare “manager” in grado di gestire correttamente il patrimonio faunistico indipendentemente se questo sia presente all’interno o all’esterno delle aree protette. La fauna selvatica non conosce i confini amministrativi. La storia della “gestione faunistica” in Italia ha visto fin dagli anni '70 una forte contrapposizione tra il mondo ambientalista e il mondo venatorio, seguendo, dopo l’entrata in vigore della L. 394/91, due distinti percorsi, dentro e fuori le aree protette, senza alcun confronto tra gli enti gestori se non in casi limitati. Differente è il contesto della gestione della fauna nel centro Europa, dove l’attività è finalizzata alla conservazione delle specie anche mediante un prelievo sostenibile e la gestione viene operata, trasversalmente ai territori, da strutture tecniche specializzate. Il Master assomma due percorsi formativi incentrati sull'area tecnico-faunistica e su quella giuridico amministrativa. In esito al percorso formativo composto dalle materie tecnico-faunistiche verrà riconosciuto dall’ISPRA per la prima volta in Italia, anche il titolo di "tecnico faunistico" per la gestione degli Ungulati selvatici.
Pensa che un coordinamento tra regioni per calendari e gestione venatoria potrebbe essere la soluzione?
Penso di aver risposto gia’. Coordinare non va’ confuso con “uniformare”, perche’ significherebbe dire che tutte le regioni hanno le stesse problematiche, le stesse esigenze, e le stesse ricette per affrontarle. In realtà non e’ cosi. Le realta’ sono molto disomogenee, e la programmazione delle regioni per me va sempre piu’ dirottata verso lo specialismo, non solo nella pratica venatoria ma anche nella “gestione venatoria”. Si pensi alla differenziazione del clima ed a come questo fattore influisce sulle pratiche venatorie…si pensi ad esempio alla beccaccia ed ai periodi di svernamento, e di come e’ già di per se difficile uniformare periodi di prelievo al sud italia con realtà climatiche completamente diverse dal nord del paese. Piu’ che coordinamento tra regioni occorrono persone “preparate” in ogni regione, che sappiano, quello si, uniformarsi, almeno quello, nelle pratiche di rilevamento e gestione dei dati a fini scientifici, l’unico vero nodo cruciale per il futuro dell’attività venatoria non solo in Italia ma in Europa. L’altalenante passaggio di specie dal libro rosso a libri di colore diverso, da SPEC a non SPEC, e’ il chiaro esempio di come ci siamo spesso fatti governare da persone che stanno dietro le scrivanie. Il mondo venatorio italiano sarà in grado di scrivere il proprio futuro in termini positivi proporzionalmente alle competenze in termini di risorse umane che sapra’ mettere in campo ed ai dati incontrovertibili che sapra’ trasmettere agli organismi scientifici. In ABRUZZO, e’ stato di recente attivato dalla Regione il programma ARTEMIDE, che ci permetterà in tempo reale di trasferire tutti i dati degli abbattimenti dell’anno dagli ATC alla Regione ed infine al Ministero competente così come richiesto dal DM 27 novembre 2012. Attraverso un semplice link di accesso, è possibile acquisire tutti i dati necessari, il programma è in grado, inoltre, di fornire dei report riferiti al numero dei capi abbattuti, con una suddivisione per decadi, per comune e per ATC e per tipologia di caccia, con il calcolo dello sforzo di caccia. Una tale gestione dei dati e l’inserimento nel calendario venatorio dei carnieri giornalieri e annuali risponde anche a quando richiesto nei piani di gestione europei per diverse specie SPEC.
Inoltre con i progetti di monitoraggio dello svernamento della specie beccaccia, e con i progetti sulla specie coturnice e lepre italica, abbiamo provato di aver capito, molto bene l’importanza che rivestono i dati provenienti dal mondo venatorio e possiamo affermare di essere la prova vivente che quando le cose vengono fatte bene, gli ok dell’ISPRA non tardano a venire.
La 157/92, che compie ben 22 anni nel 2014, viene considerata abbastanza diffusamente come una legge che ha bisogno di un forte ripensamento e di un generale aggiornamento che tenga conto di una caccia moderna sostenibile e amica dell'ambiente, come per altro viene concepita dalle direttive comunitarie. Recentemente il Commissario Ue per l'ambiente Janez Potocnik ha evidenziato che i calendari venatori italiani sono in linea ai principi di conservazione delle specie, in particolare riferendosi alle date di chiusura della caccia alla fauna migratoria. E' poi di questi giorni l'archiviazione delle procedure comunitarie aperte sul fronte della caccia in deroga contro l'Italia. Crede che la Legge 157/92 debba essere aggiornata per dare maggiori garanzie ai cacciatori? Come?
La 157 e’ una buona legge. Quello che abbiamo pagato è stato rappresentato probabilmente da una poca preparazione tecnica dei quadri dirigenti di affrontare le sfide gestionali che la legge ci poneva davanti fin dal ‘92. L’impreparazione è stata pagata cara, e continuiamo a portarci gli strascichi di un’impostazione la quale, anche se giustamente protesa verso il protagonismo del mondo venatorio associativo, specie nella gestione degli ambiti territoriali, è tuttavia manchevole, nel senso che il legislatore avrebbe dovuto imporre la dotazione di figure tecniche specifiche destinate alla gestione.
La 157 quindi và aggiornata in questo senso, oltre al fatto che alcune questioni, ormai vetuste, vanno riviste, ma questo penso sia comune a tutti i provvedimenti legislativi ultraventennali anche in relazione alla velocità con la quale si muove il quadro normativo europeo.
La regione Abruzzo proprio per superare queste criticità parteciperà insieme ad altre ad altre otto regioni al tavolo tecnico di confronto con il governo sulla attività venatoria, già costituito all’uopo tra il ministero dell’Ambiente, il Ministero dell’Agricoltura e L’ISPRA, con il compito di definire un grado normativo efficace in materia di attività venatoria, e per la modifica necessaria della L. 157/92 .
Non si può negare che da quel lontano 1992 molte cose sono cambiate, a partire da una imprevista e allarmante presenza di ungulati (ma non solo) che danneggia l'agricoltura e che mette in pericolo gli automobilisti, a cui occorre rispondere con interventi mirati e più tempestivi di quanto preveda attualmente la normativa quadro sulla caccia. Quale può essere secondo lei il ruolo dei cacciatori moderni in risposta a questi problemi?
Il problema ungulati è un problema enorme. Spesso lo si confonde esclusivamente con il problema cinghiale, ma in realta’ e’ molto piu’ ampio. La risposta per me deve essere rappresentata da una dotazione di strumenti normativi in grado di cucire un vestito su misura ad ogni realtà territoriale, ed in grado di affrontare il tema dei danni a fauna e flora ma, permettetemi, di tutelare al contempo le nostre tradizioni, rappresentate dalle forme di caccia tradizionali. In tal senso i cacciatori ormai sono diventati, e mi sovviene in mente quanto sta accadendo con i cervi nel Parco dello Stelvio, non solo strumento gestionale insostituibile, ma anche elemento importante al fine della creazione di economie rilevanti (si pensi alla trofeistica) che, in questo momento di crisi generale delle risorse, non e’ cosa da sottovalutare. Tutto quello che facciamo, dobbiamo programmarlo con il mondo agricolo, che e’ quello che paga di tasca propria le manchevolezze del legislatore, e come amministratore confermo che la strada intrapresa nella nostra regione di coinvolgere direttamente le squadre dei cinghialai che presidiano il territorio, cosi’ come previsto nel nuovo Regolamento per la gestione degli Ungulati in approvazione in Consiglio Regionale, sia la prova piu’ tangibile che l’Amministrazione che presiedo ha ben chiaro che per risolvere il problema ungulati occorrono i cacciatori la cui azione, sia durante la stagione venatoria che nelle attività di selecontrollo al di fuori dei periodi destinati alla caccia, non si sovrappone ma al contrario completa perfettamente i metodi ecologici stabiliti dalla 157.
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