Il giorno stesso del mio sedicesimo compleanno inoltrai la domanda per la licenza di caccia. Era la stagione venatoria del 1974. Con la licenza in tasca e la doppietta Bernardelli nuova di zecca, regalo di mio padre, feci la mia prima uscita di caccia alla pre-apertura agli estatini che allora cadeva circa a ferragosto.
Ricordo ancora, come se fosse ieri, il punto esatto dove avevo preparato il mio capanno di frasche e se chiudo gli occhi rivedo ancora "quella" ghiandaia cadere al suolo, vittima sacrificale della mia prima fucilata da cacciatore. Mio padre non andava a caccia, ma da buon contadino conosceva molto bene gli animali e l'ambiente e mi ha trasmesso l'amore per la terra ed i suoi doni. Ed è grazie al suo appoggio che ho potuto seguire la mia passione fin da ragazzo.
In quegli anni nel piccolo paese dell'alta maremma Toscana dove sono nato la caccia permeava tutta la vita della comunità. Ho sempre nelle orecchie le salve di fucile che sparavamo tutti in fila all'ingresso del paese per far sapere a tutti ma soprattutto ai paesi vicini che avevamo catturato il cinghiale. Se lo facessimo oggi come minimo verremmo arrestati, ma allora era normale proprio perché la caccia era una cultura che apparteneva a tutti. Abitavo in un podere poco fuori dal paese e capitava spesso che qualche cacciatore si fermasse per scambiare una parola con mio padre o anche solo per riposarsi sul sedile di pietra sotto il grande leccio davanti alla casa. Quegli erano gli attimi che più anelavo, non solo perché potevo ammirare da vicino le belle doppiette a cani esterni e le cartucciere di cuoio con i bossoli in vista, ma anche e soprattutto perché dai loro racconti imparavo. Insomma quella era la mia scuola.
E su quel sedile si sono alternati tanti professori, senza laurea, ma con un grande sapere. Durante una di queste "lezioni" Dino dei Giobbi, strizzando l'occhio a mio padre, mi mise in mano il suo fucile dopo avere inserito in prima canna una cartuccina ed indicando un passero su di un ramo mi disse soltanto "stringi bene il calcio alla spalla". La botta mi fece fare due passi indietro ma riuscii comunque ad arrivare sotto la pianta prima che l'uccelletto toccasse terra. Ma torniamo alla licenza, dopo gli estatini arrivò l'apertura alla stanziale e finalmente potei unirmi a pieno titolo alla squadra di mio zio Gino per la caccia alla lepre. Cacciavamo l'orecchiona con i segugi e dalla posta seguivo il lavoro dei cani sperando di essere promosso presto a canaio per potermi muovere e seguire la muta. Non c'era niente da fare non riuscivo a stare fermo e mentre aspettavo lo scovo, frugavo tutti i macchioni che potevo nella speranza di poter muovere qualcosa di sparabile.
Durante una di queste "scacce" improvvisate vidi per la prima e purtroppo anche l'ultima volta una brigata di starne vere nelle mie zone. Il mio continuo andirivieni tra i macchiai a scacciare selvaggina a forza di sassate cessò dopo che Ardito del Poggio al Moro mi regalò il mio primo cane. Una segugina meticcia con la coda mozza che chiamai Brina. Passarono così i miei primi anni di cacciatore e Brina fu ben presto affiancata da molti altri cani con i quali alternavo la caccia alla lepre dall'apertura sino a novembre per poi passare alla caccia al cinghiale sino a gennaio e dopo, in primavera, concludere la stagione con qualche mese di caccia alla volpe. Nel mio canile non mancarono mai anche cani da ferma, soprattutto Setter, con i quali cacciavo fagiani e beccacce.
Quella della beccaccia è stata per tanti anni una vera fissa, soppiantata solo dalla mia grande passione per la caccia con l'arco. Poi negli anni novanta a Siena venne introdotta la caccia di selezione e con essa mi si aprì un mondo nuovo che mi coinvolse così tanto da farmi rimpiangere di averla in un primo tempo osteggiata. Naturalmente anche in questa forma di caccia non rinunciai ad avere accanto a me un amico a quattro zampe e fu così che diventai conduttore di cane da traccia.
Negli anni 2000 mi misi in testa di poter unire le mie passioni più grandi cioè l'arco e la caccia di selezione. Riuscii a coronare il mio sogno nel 2006 quando la provincia di Siena, per prima in Italia, approvò il mio progetto che prevedeva l'uso dell'arco anche per la caccia di selezione. Oggi a quaranta anni dalla mia prima licenza sono ancora innamorato pazzo della caccia e pur passando gran parte del mio tempo con l'arco in mano a inseguire caprioli, daini e cervi appena capita l'occasione vado ancora a beccacce e grazie a dei grandi amici mi sono appassionato anche alla caccia ai colombacci dal palco. Per la prossima stagione ho finalmente trovato un maestro che ha accettato di insegnarmi l'arte di chioccolare e poi spero anche di poter cacciare gli acquatici. Insomma ancora non riesco a star fermo, ma è solo per la passione infinita che ho per la caccia. |