La mia generazione appartiene al tempo in cui il termine cacciatore era sinonimo di signore (cacciatore per diporto) oppure di contadino rustico (per procacciarsi alimenti). Bisogna risalire al tempo in cui nel nostro Paese, uscito da un tremendo conflitto mondiale, si respirava uno spirito semplice ma pieno di volontà di riprendere a vivere che preludeva a quel miracolo economico che inorgoglì l'Italia e progressivamente diffuse un forte miglioramento del tenore di vita di tutti e in tale spirito, superata la fase del piccolo mondo antico ispirata al Fogazzaro e non ancora verificatesi tutte le innovazioni introdotte dal mondo moderno e dalla globalizzazione, si percepiva ancora la categoria dei cacciatori ripartita in due entità diverse: una quella dei c.d. "signori" (proprietari di latifondi) e un'altra proveniente dal mondo agricolo inteso in senso lato che in passato aveva fatto uso della caccia anche per procurarsi cibo. In quella atmosfera, io provenivo da un genere di cacciatori non inquadrabile in alcuna della due categorie, perchè non ero un proprietario terriero, nè un agricoltore: potrei definirmi un cacciatore "per passione" che sin dall'inizio ho considerato la caccia come arte venatoria tramandatami da una famiglia antica (i Cardia in Sardegna hanno avuto origine oltre cinque secoli orsono) in cui gli uomini erano e sono tutti cacciatori.La passione iniziale è stata alimentata dai sentimenti che mio padre, ma anche i miei nonni e i miei numerosi parenti mi hanno trasmesso ricordando e facendomi vivere un mondo nel quale l'uomo si confrontava con la natura facendomi scoprire fin da bambino sensazioni di intensa emozione.
Le prime esperienze venatorie le ho vissute accanto e sotto la "vigile" tutela di mio padre e dei miei zii che prima di ogni cosa mi hanno insegnato a rispettare la natura e ad utilizzare le armi con una accortezza quasi maniacale; mi hanno anche impegnato alla vigilia dell'apertura della caccia nel confezionare le cartucce e nel predisporre tascapane e borraccia per alimentarsi e dissetarsi nella prima giornata di caccia, nella quale il valore del cacciatore era anche valutato dalla di lui resistenza.
Mi appare improprio, a proposito di preferenze, indicare una particolare forma di caccia, perchè oltre mezzo secolo fa non vi erano distinzioni scientifiche che catalogavano i cacciatori secondo preferenze alla stanziale o alla migratoria o a quant'altro. Ricordo che la caccia più frequente era alle pernici, alla lepre e al cinghiale che, in Sardegna, ove ho avuto le mie prime esperienze venatorie, era considerato un animale selvatico molto pericoloso e costituiva un banco di prova in cui bisognava dimostrare coraggio, precisione e massima prudenza.
La notte precedente la mia prima giornata di caccia è stata del tutto insonne, piena di aspettative e di speranze nell'attesa del momento in cui mi sarebbe stato finalmente concesso (così speravo!) di sparare il mio primo colpo di fucile: avevo dodici anni, purtroppo non mi fu concesso di sparare ma dovetti accontentarmi di portare per brevi tratti un fucile scarico.
Nel lungo corso della mia attività venatoria, mi è rimasta nel cuore quella prima giornata in cui, pur non avendo vissuto l'emozione del primo sparo e della mia prima preda, ho visto le punte dei cani su pernici e il loro rincorrere lepri (e anche una volpe che, però, riuscì a dileguarsi in un dirupo).
Oggi ritornando con la memoria a quei tempi, mi sembra quasi di rivivere un sogno, di respirare il profumo del mirto e di inebriarmi, quasi stordito, in mezzo a cespugli e boschi, tentando di tener dietro ai cani e cercare un ruscello per dissetarmi.
La caccia oggi si è diffusa in tante categorie di appassionati, però ha perso parte di quel fascino quasi bucolico ed elegiaco che da solo giustificava l'alzarsi all'alba per una faticosa giornata di caccia e il percorrere chilometri e chilometri prima di giungere al luogo prescelto. Certo, la passione venatoria sopravvive ma le tante regole che doverosamente dobbiamo rispettare hanno tolto il fascino del vagabondare ed il piacere di abbeverarsi alla fresca fonte di una limpida sorgente per rifocillarsi e discutere sulle "padelle" altrui, aspetti questi che formano gran parte dei vecchi "racconti di caccia".
Tornando ai tempi d'oggi, mi sia consentito esprimere una nota di tristezza: è deprimente assistere agli attacchi rivolti al mondo venatorio da detrattori sedicenti ambientalisti, quando invece ai cacciatori va il merito - aderendo ad una caccia sostenibile protetta da una serie di garanzie legislative e basata su leali comportamenti etici - di proteggere la natura ed anzi di essere protagonisti attivi della sua difesa (le Associazioni Venatorie contribuiscono con proprie guardie volontarie alla vigilanza sull'applicazione della Legge n. 157/92 sulla protezione della fauna selvatica e sul prelievo venatorio, ai sensi dell'art. 27 della richiamata legge).
Peraltro il ricorso ostruzionistico alle richieste di sospensiva contro i calendari venatori formulati dalle singole Regioni spesso trovano incomprensibili ritardi nelle pronunce dei competenti TAR.
Sarebbe ora di porvi maggiore attenzione e trovare efficaci rimedi.
Lamberto Cardia *
* Breve profilo dell'autore
L’Avv. Lamberto CARDIA ha svolto quale principale attività professionale quella di magistrato della Corte dei Conti, svolgendo in particolare attività giurisdizionale e attività di controllo sulla gestione dei maggiori enti pubblici finanziati dallo Stato; tra cui l’ENI, l’IRI, l’INAM e l’INPS; e concludendo la carriera quale Presidente onorario della suprema magistratura contabile.
Peraltro è stato anche Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Governo DINI) nonché Commissario e Presidente CONSOB (per ben 13 anni) e Presidente del Gruppo FERROVIE DELLO STATO Italiane (per 4 anni).
Come appassionato cacciatore, è da tempo Presidente dell’Unione Nazionale ENALCACCIA P.T., Associazione Venatoria riconosciuta per legge.
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