A proposito di orsi. E’ arrivato il momento che anch’io dica la mia dopo gli isterismi e le piazzate degli animalisti, il linciaggio morale dello sfortunato fungaiolo aggredito dall’orsa Daniza, le lagrime sparse a profusione sulle pagine dei giornali e dei servizi televisivi che hanno sfruttato l’emotività e l’ignoranza della gente. Dispiace anche a noi che la sventurata mamma orsa sia morta dopo il maldestro tentativo di cattura.
Ma quale esperienza aveva l’infelice guardia che ha imbracciato il fucile e caricato la siringa? Quanti altri orsi aveva addormentato? Mentre altre catture di selvatici (camosci, stambecchi) da trasferire da una zona all’altra, per ragioni diverse, hanno avuto quasi sempre esito positivo, per la grande esperienza acquisita negli anni dagli operatori (da quando l’ispettore sanitario del Parco del Gran Paradiso fu costretto a usare la cerbottana anziché la carabina perché qualche ben pensante animalista lo fece condannare per “porto abusivo di arma da fuoco in un Parco”, fino ai giorni della rogna sarcoptica, quando decine di camosci immuni sono stati trasferiti dal Mangart friulano alla Marmolada, operazione finanziata dal Safari Club italiano e non dagli ambientalisti di complemento).
Sono stato forse un po’ prolisso, ma che ci volete fare?, un link tira l’altro. E poi le cronache hanno parlato di un’altra orsa, questa volta uno degli ultimi rari e preziosi esemplari della italianissima sottospecie marsicana, trovata morta fuori del Parco. Chissà perché questa morte ha fatto meno chiasso. Forse perché la povera creatura non aveva un nome affascinante come Daniza. In margine al triste evento, è stata pubblicata in questi giorni la notizia della taglia di 50 mila euro posta da un’associazione ambientalista sulla testa di chi avrebbe avvelenato l’orsa trovata fuori del Parco d’Abruzzo, a Pettorano sul Gizio. Sempre che lo si trovi e che la povera bestia sia morta avvelenata.
Gli orsi d’Abruzzo, specie da difendere a tutti i costi, stanno uscendo dal Parco e spesso trovano la morte molto al di fuori dei suoi confini, perché là dentro non trovano più le condizioni per sopravvivere, da quando ii cinghiale (specie molto più plastica) sottrae loro territori e possibilità di sopravvivenza. Già 30 anni fa scrivevo: controlliamo i cinghiali nel Parco! Fui additato alla pubblica esecrazione. I sentimenti, i pregiudizi e le taglie non risolvono i problemi. Semmai, la benemerita associazione poteva mettere a disposizione quella somma per risarcire gli allevatori o aggiungerla ai 30 mila euro stanziati dalla direzione del Parco per ricreare - con colture, alveari e greggi a perdere - un ambiente favorevole a mantenere l’ orso all’interno delle zone di protezione create appunto nel 1922 per preservare due specie uniche al mondo, il camoscio d’Abruzzo e l’orso marsicano. Entrambe le specie sono ormai a rischio, per colpa del pregiudizio, indifferenza, cattiva gestione, incompetenza. Non per colpa dei cattivi allevatori, e perché no?, dei cacciatori come qualcuno ha sostenuto. Forse il camoscio si salverà perché finalmente sono state create nuove colonie sul Gran Sasso e la Maiella. Pensate che quando feci questa proposta, in una mia trasmissione televisiva degli anni ’70, un big dell’ambientalismo mi rispose: “Mai. Così voi cacciatori li ammazzate!”. Ma poi qualcuno ci ha ripensato ed ora se ne attribuisce il merito. Ma per l’orso non si sono trovate soluzioni, tranne i miliardi spesi a vuoto nei vari progetti e nelle prebende ai soliti studiosi e ricercatori. Così l’orso d’Abruzzo emigra per cercare da mangiare e muore. E presto esisterà solo nei documentari televisivi. Quindi, non taglie, ma investimenti per salvare questo preziosa e unica sottospecie italiana.
Due parole merita ancora la triste vicenda di Daniza. In Slovenia, Romania e in altri Paesi dell’est europeo l’orso esiste ed è gestito secondo piani di prelievo ben architettati. Abbatterne qualche capo significa mantenere le popolazioni in buona salute, incassare valuta ma anche risolvere situazioni create da orsi problematici. Anche lì ci sono. Nei Carpazi mi era stato assegnato un Kapital, ma quando all’esca è apparsa un vecchia femmina problematica, il guardacaccia mi ha obbligato a tirare. Io ho perso il mio bel trofeo, ma il problema è stato risolto senza strepiti. Quando l’orso prende l’abitudine di avvicinarsi troppo ai pollai, agli ovili e alle case, incontra l’uomo, ci fa l’abitudine, non lo teme perché lo vede inoffensivo, e diventa pericoloso. In tutto il mondo questi problemi si risolvono con la carabina, e anche lì ci sono animalisti di città che fanno baccano ed influenzano i mass media. Ma poi la ragione segue il suo corso. E proseguendo col ragionare, che cosa avrebbero fatto dell’orsa, se fossero riusciti ad addormentarla? Trasferirla in un’altra zona? Gli orsi camminano. L’orso chiamato Bruno e altri orsi trentini sono stati abbattuti oltr’Alpe. Oppure l’avrebbero rinchiusa in un recinto? I due piccoli, che hanno avuto l’imprinting dalla madre (e quindi hanno imparato a non temere l’uomo e ad avvicinarsi alle case) che fine faranno? I due cuccioli sopravviveranno, state sereni, ma la storia continua e i problemi pure.
L’orso non è il simpatico Yogi o il saggio Baloo. Così come il capriolo non è il tenero Bambi, e il lupo non è il paterno Akela. Sono animali, creature selvatiche, ciascuna in caccia di qualcosa da mettere sotto i denti. Alcune uccidono per vivere, altre sono uccise. Ma quale animalista ha pianto per le pecore sbranate? Ogni specie recita il ruolo che la natura le ha assegnato, ma l’uomo deve intervenire, da quando diecimila anni fa cominciò a modificare l’ambiente. Intervenire, non solo per ristabilire e conservare gli equilibri naturali, ma anche per difendere il suo lavoro e la sua sicurezza.
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