Giampiero Sammuri, fresco di nomina a Presidente della Federparchi, l'organizzazione che raccoglie tutti i Parchi (nazionali e regionali) italiani, opera da sempre nel settore, come dirigente dell'Ufficio risorse faunistiche della Provincia di Siena. Dopo un'esperienza amministrativa come assessore all'agricoltura della Provincia di Grosseto, da otto anni è presidente del Parco della Maremma.
Le sue dichiarazioni, che abbiamo raccolto in esclusiva per BigHunter.it, a prescindere dall' impostazione culturale ovviamente di matrice ambientalista, peraltro orientate alla “corretta gestione” piuttosto che alla “conservazione”, costituiscono senza alcun dubbio una svolta nell'approccio, ragionato e non ideologico, alle problematiche ambientali.
Salutiamo con soddisfazione soprattutto la “patente” di gente preparata e appassionata che ha esplicitamente voluto assegnare ai cacciatori. Il nostro auspicio è che questo sia il primo passo, importantissimo, nel percorso di collaborazione fra mondo della caccia e ambientalisti.
Presidente Sammuri, la sua nomina a Presidente della Federparchi cade in un momento in cui si discute animosamente in Parlamento e nel Paese di una nuova legge sulla caccia. Lei cosa ne pensa?
Come devo rispondere? Come presidente di Federparchi, come dirigente dell’ufficio risorse faunistiche della provincia di Siena o come tecnico faunistico? A parte gli scherzi, credo che l’intervista è al presidente di Federparchi e come tale rispondo e quindi mi riferisco solo alle interazioni con le aree protette.
In particolare una cosa che fa molto discutere è la possibile apertura della caccia nelle aree protette italiane. Ecco, io a questa eventualità sono contrario, ma non per una posizione preconcetta, so benissimo infatti che in altri paesi del mondo, anche europei, nelle aree protette la caccia, è consentita, seppur fortemente regolamentata e limitata nei tempi. Il problema è che, in tali paesi le aree protette sono mediamente molto più grandi di quelle italiane ed all’interno hanno si aree dove si caccia, ma anche aree più piccole dove l’attività venatoria è vietata, più simili dimensionalmente ai nostri parchi. Poi penso che se attuate così come vengono proposte le modifiche alla legge proposte creerebbero problemi non indifferenti anche ai cacciatori. Forse pochi hanno notato che mentre si propone l’apertura della caccia nelle aree protette, si affronta anche il problema che in alcune zone d’Italia i parchi contribuiscono a superare il limite massimo (30%) del territorio vietato alla caccia ai sensi dell’art 10 comma 3 della legge 157/92. Indubbiamente è un problema che esiste, anche se in poche zone, e che segnala un’evidente contrasto tra la legge 157 e la legge 394/91 che in qualche modo deve essre sanato. E’ singolare però che nessuno abbia notato il problema opposto e cioè che, molto più spesso, le aree protette contribuiscono a raggiungere il livello minimo di territorio vietato alla caccia previsto dallo stesso articolo 10 (20%). In parole povere, nelle zone dove questo avviene, se si aprisse la caccia nei parchi, si dovrebbe trovare altre superfici dove vietarla per raggiungere comunque la soglia minima del 20%. Mi sono divertito a vedere cosa succederebbe nella mia regione, la Toscana, se la proposta di aprire la caccia nei parchi trovasse un riferimento normativo. Oggi due province (Livorno e Lucca) superano il 30 % di aree a divieto di caccia, raggiungendo rispettivamente il 33% e il 32%, quattro sono tra il 23 e il 25,6, le altre quattro tra il 20 e il 22,5. Se si aprisse la caccia nelle aree protette solo tre province rimarrebbero sopra al 20 %, Livorno precipiterebbe a meno dell’11,%, buona parte delle province sarebbe intorno al 15%, e il dato regionale passerebbe dal 23,4 al 16,9 %. In soldoni se si applicasse il tutto su scala regionale bisognerebbe trovare circa altri 65.000 ettari circa dove vietare la caccia! Se si ripartisce il dato su scala provinciale ad alcuni le cose possono andare meglio, ma ad altri molto peggio (dalle mie parti si dice che poggio e buca fa piano). In pratica per le tre province che rimarrebbero comunque sopra al 20% cambierebbe poco, ma ad esempio in provincia di Grosseto se si aprisse la caccia nel parco della Maremma e nelle altre aree protette bisognerebbe trovare altri 22000 ettari nuovi dove vietare la caccia, quasi 14000 in provincia di Arezzo, circa 10000 nelle provincie di Pisa, Massa, Livorno e Lucca. Considerando come talvolta è difficile modificare un istituto faunistico venatorio per poche decine di ettari, dubito che i cacciatori di quelle province sarebbero così entusiasti del cambio e faccio gli auguri a chi dovesse gestire la problematica. Per quanto riguarda la provincia di Grosseto, credo che i cacciatori preferirebbero di gran lunga lasciare le cose come stanno piuttosto che andare alla difficile ricerca dei nuovi 22000 ettari…
Dalla Conferenza regionale sulla caccia di Arezzo, è emerso chiaramente uno squilibrio delle popolazioni soprattutto di ungulati, a causa del diverso regime di gestione della fauna fra aree protette e atc. Come pensa si possa trovare in tempi relativamente brevi una soluzione al problema?
Credo che lo squilibrio delle popolazioni di ungulati non dipenda dal diverso regime di gestione della fauna tra le aree protette e gli ATC, altrimenti non sarebbe un problema italiano, europeo e mondiale, che si verifica dove ci sono le aree protette ma anche dove non ci sono. La mia lettura è un’altra: la conferenza ha dimostrato che gli ungulati vanno gestiti e controllati ovunque, nelle aree protette come nel resto del territorio. Credo di conoscere abbastanza bene la situazione italiana e toscana in particolare, per sapere che ci sono contesti dove la gestione ed il controllo sono buoni ed altri dove non lo sono, ma questa riguarda indifferentemente aree protette, atc ed istituti privati. Non ci sono tutti i bravi da una parte e i non bravi dall’altra. La soluzione in tempi brevi? Non credo di avere la bacchetta magica, ma penso che un errore che si commette è quello di chiedere al mondo della caccia la soluzione del problema. I cacciatori, più che andare, ad esempio, a caccia al cinghiale da quando apre a quando chiude, in tutte le zone e nei giorni in cui è consentita ed abbattere più capi possibile non possono fare. Il problema è il controllo e cioè quell’attività che si svolge fuori dei normali periodi di caccia e nei territori dove è vietata. Secondo me è qui che si deve agire con modifiche normative che rendono quest’attività più semplice, più snella e soprattutto più efficace.
In molti parchi, compreso quello della Maremma di cui lei è da tempo presidente, si effettuano prelievi e abbattimenti anche in collaborazione con i cacciatori. Ritiene che un maggior coinvolgimento della componente venatoria possa fare la differenza? Come prefigurerebbe eventualmente questo coinvolgimento a livello diffuso?
In pratica ho già iniziato a parlare di questo con l’ultima parte della risposta precedente. Nel parco della Maremma da anni i cacciatori collaborano alle operazioni di controllo del Daino organizzate dai guardaparco. Di questa attività devo solo ringraziarli, perché mettono a disposizione il loro tempo volontariamente, abbattono Daini dei quali non trattengono nulla, né un etto di carne, né il trofeo e li consegnano semplicemente al Parco. Penso che sia un’operazione molto positiva e che solo uno sprovveduto o un incompetente può confondere con la caccia. Operazioni di questo tipo seppur con modalità diverse vengono svolte in altri parchi. Certo, che sono favorevole ad una diffusione di queste forme di collaborazione, rispettando però alcune condizioni.
a) L’obbiettivo è il controllo della fauna in eccesso, in particolare degli ungulati,.
b) La gestione, l’organizzazione e la responsabilità è totalmente del Parco
c) La tecnica è quella che guida le modalità di controllo, non le passioni individuali. Nel parco della Maremma i Daini vengono solo abbattuti perché è praticamente impossibile ed antieconomico catturarli, mentre i cinghiali vengono prevalentemente catturati perché è più facile che abbatterli. In queste scelte non c’è niente di passionale, non si tifa né per l’una cosa o per l’altra, si sceglie solo la modalità più efficace
d) La fauna abbattuta o catturata resta a disposizione del Parco.
Come reputa il rapporto fra caccia e aree protette, anche alla luce delle sue esperienze di appassionato operatore nel settore della gestione faunistica e ambientale?
Devo dire che è un rapporto molto variabile nelle varie parti d’Italia, a volte le relazioni sono buone a volte sono cattive. Non per fare il manzoniano ma quando le cose non vanno bene la colpa non è mai solo da una parte. Se devo parlare della mia esperienza ormai quasi trentennale di rapporto con il mondo della caccia, devo dire che complessivamente non mi sono trovato male, particolarmente bene come presidente del Parco. I cacciatori rappresentano un interlocutore severo, talvolta passionale, sempre organizzato e molto preparato. Sono convinto che i cacciatori conoscano molto meglio la normativa sulla caccia che gli automobilisti il codice della strada. Questo consente loro di portare spesso l’acqua al proprio mulino come è giusto che cerchi di fare qualunque categoria. Però se ravvisano nell’interlocutore la competenza, anche se il mulino è diverso, riconoscono sempre l’onore delle armi, anche quando non si trovano d’accordo. Io non credo di essere particolarmente bravo, senza falsa modestia, solo che occuparmi di fauna, di cacciatori e di aree protette da una trentina d’anni è il mio lavoro. Se non sapessi di che cosa parlo sarei come un muratore che non sa tirare su un muro, un barbiere che non sa tagliare i capelli, o un ingegnere che non sa fare un progetto. Magari ci sono, ma credo che siano piuttosto rari…
Giampiero Sammuri
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