Vive a Castel di Casio, nell'Appennino bolognese, ha 58 anni, è sposato ed ha tre figli. Dal 1996 al 2004 è Vice presidente della Provincia di Bologna e dal 2005 è nominato Assessore regionale all'Agricoltura in Emilia Romagna. Dopo le elezioni regionali del 2010 viene riconfermato all'assessorato acquisendo le nuove deleghe alla Caccia e all'Economia Ittica. Intervistato da BigHunter.it, l'Assessore Tiberio Rabboni ci parla della situazione della caccia oggi, confessando una certa preoccupazione per l'esistenza di un animalismo politico, che fa leva sui sentimenti dei cittadini per conquistare voti e arrivare alla privatizzazione della caccia.
Tutto ciò proprio mentre l'esercizio venatorio nel nostro Paese dimostra oggi più che mai la sua assoluta sostenibilità e utilità ai fini faunistici. Quello che ne esce è un quadro positivo, fatto di molta disinformazione e di grandi lacune ma soprattutto di tanti cacciatori che concretamente portano avanti una tradizione millenaria nel pieno rispetto di natura e habitat. Per poter lavorare al meglio però c'è ancora molto da fare...
Assessore Rabboni, da cittadino e da amministratore lei come vede la caccia oggi in Italia?
“Vedo – risponde Rabboni - una forbice che si sta allargando tra mondo venatorio ed opinione pubblica e un sacco di personaggi pubblici che si stanno adoperando per allargare a dismisura le due lame della forbice fino a separarle definitivamente”. Oggi – spiega - a parlare contro la caccia non ci sono più i soliti animalisti estremisti; ci sono Ministri della Repubblica, deputati ed altre personalità pubbliche che attraverso televisioni e giornali comunicano ad ogni piè sospinto le loro opinioni a milioni di italiani. L’obiettivo dichiarato è di non uccidere più inutilmente gli animali, quelli non dichiarati sono la privatizzazione della caccia e i voti dei cittadini di cui viene sollecita l’indignazione. Il paradosso è che mai come in questo periodo la caccia è stata così contenuta, regolamentata e in simbiosi con gli equilibri biologici ed ambientali”.
E nella sua regione le cose vanno un po' meglio?
“In Emilia-Romagna – risponde fieramente - la gestione sociale funziona. Qua e là ci sono problemi, tensioni o disfunzioni, come è normale in queste attività. Ma nel suo insieme funziona Il merito è di tanti, ma è sicuramente dei cacciatori. Il nostro cacciatore medio è una persona informata, rispettosa delle regole venatorie e dell’ambiente in cui svolge la caccia, collabora alle attività di prevenzione dei danni e pone attenzione ai rapporti con gli agricoltori”.
Come pensa vada articolato il rapporto fra cacciatori, agricoltori, ambientalisti e società in genere?
“La domanda ha una risposta obbligata. La gestione sociale e la collaborazione tra cacciatori, agricoltori ed ambientalisti – afferma - non è solo un requisito di legge ma è la condizione stessa per respingere l’offensiva degli anti-caccia. Per questo bisogna rafforzarla, soprattutto sul versante cacciatori-agricoltori, dove le cose non sempre funzionano a dovere o comunque potrebbero migliorare. Nel nostro Appennino ad esempio ci sono problemi di densità di ungulati eccessiva che vanno affrontati con tempestività e determinazione soprattutto attraverso una migliore gestione venatoria. E poi non basta prevenire i danni; bisogna sforzarsi di coinvolgere attivamente gli agricoltori anche nell’indotto della gestione venatoria, vale a dire in quei servizi e attività connesse che possono valorizzare l’azienda ed integrare il reddito”.
La società contemporanea, sempre più distratta, affronta spesso l'argomento caccia da un punto di vista più emotivo che razionale. Lei pensa che sia possibile dare una giusta informazione di cosa è la caccia oggi e dei suoi aspetti benefici per il territorio e la società? Come?
“Bisogna uscire dalla trappola dialettica del giusto o non giusto a proposito dell’uccisione del selvatico – osserva saggiamente l'assessore-. Su quel terreno non si va molto lontano. La caccia può essere invece valorizzata nell’opinione pubblica con argomenti che dimostrino che da essa derivano vantaggi collettivi, ambientali, pubblici o sociali che dir si voglia. E quindi caccia regolata, programmata e gestita socialmente e su basi scientifiche per assicurare la conservazione e l’incremento della biodiversità faunistica, gli equilibri tra le specie, la corretta coesistenza con le attività antropiche e l’ambiente, la maggiore attrattività dei territori rurali e montani. Insomma la caccia e i cacciatori come fautori di una biodiversità sempre più ricca a vantaggio di tutti”.
D'altro canto, i cacciatori non di rado sono incapaci di rappresentare i loro valori al di fuori della cerchia degli appassionati. Cosa si sente di suggerire loro, affinchè riescano a raccogliere maggiore attenzione e consensi?
“Una efficace campagna di comunicazione sugli aspetti di cui parlavo prima, capace di coinvolgere testimonial significativi, anche non cacciatori, ovvero personalità dello sport, dello spettacolo, della cultura e della scienza, personaggi femminili; persone terze, tendenzialmente superpartes. E poi un’altra cosa: tenere maggiormente distinti gli argomenti indirizzati all’opinione pubblica da quelli più di natura interna o rivendicativa. Quando le due cose si sovrappongono si fa confusione e il messaggio che arriva ai cittadini non è sempre positivo”.
Da tempo in Parlamento si prova con scarso successo ad aggiornare la 157/92. Lei cosa si sente di raccomandare? Quali sono secondo lei i punti della legge che andrebbero comunque modificati?
“Io – dice - mi riconosco nella posizione che hanno assunto, qualche tempo fa, all’unanimità, i Presidenti di Regione: si faccia una legge imperniata sul nuovo ruolo costituzionale delle Regioni e quindi una legge quadro nazionale di soli principi ed indirizzi, demandando alla legislazione regionale la concreta organizzazione della gestione faunistica-venatoria sul territorio per la stanziale e per tutto ciò che è programmabile. Questo, ad esempio, consentirebbe da noi, dove la cosa è matura, di intervenire con il prelievo venatorio in selezione anche nelle zone protette”.
In Italia, la ricerca scientifica applicata è da molti ritenuta inadeguata rispetto alle esigenze, soprattutto per quanto riguarda il tempestivo ed esauriente aggiornamento dei dati sulla fauna migratoria. Lei cosa ne pensa?
“Sono d’accordo – osserva l'assessore - Intanto le ricerche sulla migratoria devono avere una scala nazionale ed integrarsi in quelle di carattere internazionali. In secondo luogo lo Stato deve assumersi le sue responsabilità finanziando seriamente l’attività e rilanciando l’operatività dell’ISPRA, che la legge individua come strumento preposto. Infine bisogna che nell’Ispra abbiano voce in capitolo anche le Regioni”.
Si fa un gran parlare dell'applicazione o meno delle deroghe, previste dalla Direttiva comunitaria 79/409. In particolare il Veneto è preso a riferimento per la sua puntuale applicazione in risposta alle sollecitazioni di parte agricola e venatoria. Lei cosa ne pensa?
“Non mi esprimo sul provvedimento del Veneto. Mi esprimo invece su quello dell’Emilia-Romagna. Lo scorso anno – puntualizza l'Assessore - la nostra delibera è passata indenne sia al TAR che al Consiglio di Stato. Quest’anno la deroga non è stata impugnata da nessuno. Il motivo? Abbiamo confezionato un provvedimento coerente con tutti i presupposti della direttiva europea sia proposito di danni dimostrabili che di delimitazioni delle colture da preservare. Spesso non basta fare la voce grossa, bisogna anche fare le cose bene. Detto questo – conclude - trovo inspiegabile che il Governo italiano non abbia ancora chiesto, come dovrebbe e potrebbe fare, all’Unione Europea di cancellare dalle specie protette in Italia lo Storno”.