Luis Durnwalder nasce nel 1941 a Falzes in una famiglia contadina di lingua tedesca. Gli studi (agraria e giurisprudenza) tra Austria e Italia, alcuni anni di insegnamento e la presidenza al "Südtiroler Bauernbund" (associazione degli agricoltori sudtirolesi) sono le sue esperienze prima di dedicarsi alla politica prima come sindaco del paese natale e poi come consigliere provinciale. A Bolzano inizia una lunga carriera politica. Dal 1976 è dapprima vicepresidente, assessore e infine Presidente della Provincia autonoma a partire dal 1989 (riconfermato a larga maggioranza per 4 elezioni consecutive). Rieletto Presidente della Provincia nel turno elettorale del 2008, con la maggioranza assoluta dei consensi è anche Presidente della Regione. Al centro delle polemiche di questi giorni per le sue dichiarazioni contro i festeggiamenti dell'Unità d'Italia, Durnwalder interpreta le istanze della minoranza tedesca e ladina che in larga parte risiede nella Provincia autonoma da lui presieduta.
Proseguendo con le interviste ai rappresentanti della politica venatoria locale, BigHunter.it lo ha raggiunto in veste di Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano per capire come vede la caccia oggi uno dei personaggi più schietti e genuini del panorama politico italiano. Ne esce un mix di tradizione e moderna gestione al servizio della tutela del territorio agro silvo pastorale. Una visione propria di gran parte dei cacciatori di queste parti, abituati alla caccia di selezione sicuramente più che altrove.
Cosa pensa dei cacciatori della sua regione?
“Sono convinto – spiega il Presidente - che sia della nostra provincia di Bolzano che della regione autonoma Trentino-Sudtirolo i cacciatori siano ben preparati, rispettosi della natura e coscienziosi del loro operato. Ne dà prova il fatto, fra l'altro, che l’esame venatorio da noi non è una formalità, ma un esame vero e severo visto che nell’ultimo decennio solo il 25-40% è riuscito a superarlo. Proprio grazie alla preparazione richiesta ed alla serietà necessaria, non si sono mai verificati per fortuna gravi incidenti venatori”.
La società contemporanea, sempre più distratta, affronta spesso l'argomento caccia da un punto di vista più emotivo che razionale. Lei pensa che sia possibile dare una giusta informazione di cosa è la caccia oggi e dei suoi aspetti benefici per il territorio e la società? Come?
“A mio avviso – risponde - indispensabile per ogni buon rapporto è, e rimane, il reciproco rispetto nonché un’approfondita conoscenza della materia. L’impatto della fauna selvatica (in particolare degli ungulati) sulle produzioni agricole e forestali rientra tra le materie dell’esame venatorio, quindi i cacciatori bolzanini sono in grado di gestire il patrimonio faunistico nel rispetto degli interessi dell’economia montana. E' anche per questo che agricoltori e allevatori vedono nella figura del cacciatore un loro alleato naturale per cui riterrei buoni i rapporti con il mondo contadino”.
Bisogna poi distinguere fra popolazione cittadina e quella rurale. “Nelle nostre valli – argomenta Durnwalder - la caccia è tuttora vista come una necessità, come un corretto approccio alle diverse problematiche della gestione faunistica. Una parte della popolazione cittadina e protezionisti che definirei radicali, invece, si esprimono contro diverse forme della nostra gestione attiva della fauna e si dichiarano contrari ad ogni regolamentazione differenziata della caccia. Il rapporto con loro, a volte non è tra i più semplici”.
D'altro canto, i cacciatori non di rado sono incapaci di rappresentare i loro valori al di fuori della cerchia degli appassionati. Cosa si sente di suggerire loro, affinché riescano a raccogliere maggiore attenzione e consensi?
“È vero, parlando di caccia, spesso l’emozione prevale sulla razionalità – osserva- . Da questa valutazione non vorrei escludere nemmeno gli stessi cacciatori. Quindi, il primo passo per uscire da questo vicolo cieco, è sicuramente una ancor maggiore preparazione e responsabilizzazione dell’intero mondo venatorio. Se riuscissimo ad avere una gestione condivisa anche dal mondo ambientalista, avremmo più ascolto da parte dei mezzi di comunicazione e saremmo in grado di far capire che la caccia, se gestita bene, non è mai una forma di distruzione, ma una forma di conservazione della fauna. In ogni caso più successo in questa necessaria attività informativa ed educativa, mi aspetto dal contributo del singolo cacciatore ed agente venatorio sul posto, e meno da una pubblicità divulgativa dei mass-media”. Indispensabile quindi per il Presidente provinciale è “il confronto serio con la gente critica. Al giorno d’oggi – sottolinea - ogni singolo seguace di Sant’Uberto dev’essere disposto ed in grado di discutere con la controparte sull’utilità e necessità della caccia anche nel nostro ambiente antropizzato. Le autorità venatorie e le organizzazioni di categoria da parte loro invece, dovrebbero fornire gli strumenti necessari per una oggettivazione della discussione”.
Da tempo in Parlamento si prova con scarso successo ad aggiornare la 157/92. Lei cosa si sente di raccomandare? Quali sono secondo lei i punti della legge che andrebbero comunque modificati?
“Secondo me la L. n. 157/92 dovrebbe rimanere quella per cui originariamente è stata concepita, cioè una legge quadro che contiene i principi fondamentali per una conservazione a lungo termine della fauna selvatica nonché per una corretta gestione attiva della stessa. Quindi, a mio avviso, non dovrebbe disciplinare i dettagli tecnici più che nel passato, ma affidare la concreta applicazione alle Regioni. Inoltre – evidenzia - per quanto riguarda l’elenco delle specie cacciabili mi auguro che si tenga più conto della particolare situazione alpina e della tipica fauna autoctona. Nel dettaglio sarebbe opportuno inserire lo stambecco e la marmotta fra le specie cacciabili in base a dettagliati piani di prelievo o almeno prevedere espressamente la possibilità del loro controllo senza che si debba richiedere il preventivo parere dell’ISPRA. In altre parole, ritengo indispensabile responsabilizzare le autorità venatorie regionali demandando a loro il potere di decisioni gestionali su questi due mammiferi alpini che in certe zone hanno già raggiunto la capacità portante dell’ambiente”.
Si fa un gran parlare dell'applicazione o meno delle deroghe, previste dalla Direttiva comunitaria 79/409. In particolare il Veneto è preso a riferimento per la sua puntuale applicazione in risposta alle sollecitazioni di parte agricola e venatoria. Lei cosa ne pensa?
“Devo ammettere – osserva il Presidente Durnwalder - che la caccia alla migratoria nella nostra provincia riveste un ruolo marginale, quasi nullo. Infatti tutta l’attività venatoria si concentra sulla fauna stanziale ed in prima linea sugli ungulati. Di conseguenza, a differenza delle pianure e zone costiere, l’opportunità, la necessità di un monitoraggio costante delle specie migratorie è data solo parzialmente, essendo nel Sudtirolo, in base alla legge provinciale, cacciabili unicamente la beccaccia, l’alzavola, la marzaiola e la quaglia”.
Ad ogni modo, continua il Presidente della Provincia Autonoma, “deroghe all’articolo 9 della direttiva comunitaria 2009/14/CEE (già direttiva 79/409/CEE) ai fini della protezione delle colture agricole nell’ultimo quinquennio non sono state applicate. L’unica eccezione riguarda il cormorano il cui controllo negli inverni scorsi è stato autorizzato ai fini della tutela del patrimonio ittico, in particolare della trota mormorata e del temolo. Recentemente, purtroppo, il TAR ha sospeso questa autorizzazione in deroga per cui attualmente siamo in attesa della sentenza in merito”.