Dario Stèfano, alla sua seconda esperienza da Assessore alle Risorse Agroalimentari in Puglia (l'attuale Presidente Nichi Vendola lo ha riconfermato dopo i 9 mesi di esperienza del precedente mandato), come tutti sapranno è anche Coordinatore della Commissione Politiche Agricole nell’ambito della Conferenza Stato–Regioni, nonché l'ideatore, nello stesso ambito, del Tavolo nazionale sulla Caccia, pensato per affrontare le tematiche più urgenti che riguardano la politica venatoria italiana e i suoi risvolti sull'agricoltura (vedi questione storno). Più tecnica che politica per questo amministratore pragmatico capace di mettere d'accordo coalizioni politiche contrapposte e soggetti apparentemente lontani tra loro. Un approccio di tipo manageriale, che corrisponde alla sua originaria vocazione. Manager in alcune tra le principali aziende industriali pugliesi, si è occupato anche dell'internazionalizzazione di interi management ed è stato consigliere in prestigiose esperienze imprenditoriali salentine nel settore manifatturiero e turistico-ricettivo.
Significativa anche la sua esperienza all'interno di Confindustria Puglia, dove ha anche presieduto la Commissione Ambiente, ha svolto il suo impegno nell’Associazione degli Industriali leccese, di cui è stato giovanissimo vicepresidente per due mandati consecutivi. È stato anche componente della Commissione Sviluppo Sostenibile nei due mandati a cavallo delle presidenze Fossa e Montezemolo. Prima di fare l'assessore è stato Presidente della Commissione Sviluppo Economico del Consiglio Regionale. Oltre a tutto questo, Stèfano trova anche il tempo di insegnare Economia e Contabilità Industriale all'Università del Salento-Scuola di specializzazione in discipline legali (è stato anche docente di “Gestione del ciclo rifiuti”, nel Corso di laurea di Scienze Ambientali) e di scrivere libri di carattere scientifico e tecnico, anche in tema di gestione del ciclo dei rifiuti e di certificazione ambientale.
E' senza dubbio uno dei personaggi chiave del momento, a cui il mondo della caccia guarda con attenzione per la ripresa della riforma delle norme sulla caccia e per una maggiore valorizzazione della categoria. Una mediazione seria e articolata fra le varie forze in gioco per l'Assessore Stèfano è finalmente auspicabile e davvero possibile. Ecco come ha risposto alle nostre domande.
Come vede la caccia oggi in Italia?
Viviamo una stagione di cambiamento culturale ma anche di "evoluzione emotiva". Un cambiamento che, nel rispetto delle opinioni di tutti, favorevoli e contrari, mi sembra porti con sè un atteggiamento un tantino pregiudiziale, a volte cavalcato mediaticamente, anche da personalità politiche, solo per fare leva strumentalmente su un sentimento comunque presente nella comunità italiana. Affermo questo perchè, pur volendo considerare il dato emerso nella indagine demoscopica commissionata da CNCN e Face Italia, che ci dice che la maggior parte degli italiani non è contraria alla caccia, purchè regolamentata e sostenibile (e questo mi sembra importante), vi è una diffusissima percezione della necessità di lavorare per imbastire un approccio equilibrato al tema, da incentrarsi proprio sulla regolamentazione e sulla sostenibilità.
Cosa pensa dei cacciatori della sua regione?
Rispondo con una battuta: che sono passionali e appassionati! Così come lo sono, d’altro canto, con le proprie motivazioni, le associazioni animaliste ed ambientaliste. Battuta a parte, va detto che ci confrontiamo spesso in un "braccio di ferro" combattuto, genuino ed autentico, con l'obiettivo dichiarato, però, di trovare una sintesi ragionevole, provando cioè ad andare al di là dei pregiudizi che spesso rendono incomprensibili le ragioni degli uni agli altri.
Trovare una giusta mediazione è sempre stata per me la vera sfida, ricercare la migliore traccia possibile tra le esigenze e le aspettative delle diverse sensibilità coinvolte, anche di quelle agricole, che non corrispondono più come un tempo, piè pari, a quelle venatorie. Un tempo quasi sempre l'agricoltore era anche il cacciatore. Oggi invece non è più così. In Puglia la ricerca di una traccia comune la realizziamo anche attraverso la partecipazione ai lavori del Comitato tecnico faunistico venatorio regionale, che è stato pensato e costituito proprio come luogo di concertazione.
Come pensa vada articolato il rapporto fra cacciatori, agricoltori, ambientalisti e società in genere?
La gestione sociale e la collaborazione tra cacciatori, agricoltori ed ambientalisti è essenziale, e non solo perché è un requisito di legge. Ciascuno, infatti, esercita un ruolo che ha riflessi determinanti per la tutela e la gestione dell’ambiente e degli ecosistemi.
In Puglia, ad esempio, spesso abbiamo dovuto adottare dei provvedimenti di autorizzazione al prelievo in deroga dello sturnus vulgaris, per tutelare gli agricoltori dallo sproporzionato proliferare di questa specie a danno delle colture olivicole, ma anche per difendere la qualità di una delle nostre produzioni più qualificate: l’olio extravergine d’oliva. Io penso che il faro debba essere il principio dell’equilibrio e della sostenibilità, ma va anche detto che le difficoltà sono purtroppo amplificate dalla discrasia esistente tra le direttive comunitarie e la legge nazionale (157/92), che ha provocato più di qualche dubbio interpretativo. Tant'è che, proprio per fugare tali dubbi, come Regioni, attraverso la Commissione Politiche agricole che ho l'onore di coordinare, abbiamo chiesto più volte al Mipaff indicazioni per una più corretta ed omogenea interpretazione, senza mai ricevere alcun riscontro. Non paghi, in data più recente, abbiamo costituito un tavolo tecnico con tutti gli stakeholder per scrivere regole comuni che ci consentano, soprattutto in tema di stesura dei calendari annuali, di agire nel migliore e più omogeneo dei modi possibili.
La società contemporanea, sempre più distratta, affronta spesso l'argomento caccia da un punto di vista più emotivo che razionale. Lei pensa che sia possibile dare una giusta informazione di cosa è la caccia oggi e dei suoi aspetti benefici per il territorio e la società? Come?
Guardi, da "moderato" quale sono sempre stato, non ho mai amato i fondamentalismi, nutrendo profondo rispetto per l’impegno, le motivazioni, le passioni, il lavoro di tutti coloro che sono coinvolti intorno ad un tema, tanto più se sensibile e complesso quale quello della caccia. In tal senso, credo però che l’attività di comunicazione e di informazione - e questo vale per chiunque svolga un ruolo sociale - può assumere un ruolo straordinariamente positivo. Una buona comunicazione, quando si fonda sulla verità, sulla normativa, sulla storia e sui fatti, può essere di grande aiuto e consente all’opinione pubblica di maturare con grande lucidità le proprie motivazioni, ma anche di accrescere il sentimento di rispetto, verso chiunque.
D'altro canto, i cacciatori non di rado sono incapaci di rappresentare i loro valori al di fuori della cerchia degli appassionati. Cosa si sente di suggerire loro, affinché riescano a raccogliere maggiore attenzione e consensi?
Di comunicare in maniera efficace, costante, trasparente e veritiera. Magari anche attraverso la promozione di occasioni di confronto, di dibattito tra posizioni differenti. Io credo infatti che il confronto, quando è sano, costruttivo, pacato, quando è scevro da fondamentalismi, quando si propone di formare ed informare, rappresenti il sale della democrazia e torna sempre generoso in termini di risultati positivi.
Da tempo in Parlamento si prova, con scarso successo, ad aggiornare la 157/92. Lei cosa si sente di raccomandare? Quali sono secondo lei i punti della legge che andrebbero comunque modificati?
Anche in Parlamento il dibattito ha spesso scontato un approccio strumentale ed elettoralistico al tema, e questo lo ha reso sin qui improduttivo. Ciò premesso, credo che la priorità dovrebbe restare quella di rimuovere le discrasie tra legge nazionale ed inquadramento comunitario. Allo stesso tempo, però, mi riconosco anch'io nella posizione assunta qualche tempo fa, all'unanimità, dalla Conferenza delle Regioni, che inquadra la necessità di avere un testo normativo imperniato sul nuovo ruolo costituzionale delle Regioni. Una nuova Legge quadro nazionale, cioè, di soli principi ed indirizzi che demandi alle Regioni la organizzazione nei rispettivi territori di una gestione faunistica-venatoria sostenibile.
In Italia, la ricerca scientifica applicata è da molti ritenuta inadeguata rispetto alle esigenze, soprattutto per quanto riguarda il tempestivo ed esauriente aggiornamento dei dati sulla fauna migratoria. Lei cosa ne pensa?
Si, purtroppo la ricerca scientifica applicata si dimostra ancora assai insufficiente. Credo, in ogni caso, che si dovrebbe puntare, per quanto riguarda la migratoria ad esempio, ad una maggiore integrazione della ricerca sui livelli nazionale e internazionale, che consenta di avere un quadro preciso, ma al tempo stesso allargato, dei fenomeni migratori. Ma il tema è anche un altro: l’Ispra necessita a mio avviso di un rilancio della sua attività, e questo chiama in causa direttamente il governo centrale che ancora non investe purtroppo in maniera idonea. Parallelamente, credo sia opportuno lavorare perchè, all’interno di Ispra, si realizzi l'auspicato coinvolgimento delle Regioni, titolari di deleghe costituzionali al tema. Aspetto questo che, tra l'altro, consentirebbe di rompere quel tabù che interpreta la linea di Ispra troppo sbilanciata in "direzione ambientalista".
Si fa un gran parlare dell'applicazione o meno delle deroghe, previste dalla Direttiva comunitaria 79/409. In particolare il Veneto è preso a riferimento per la sua puntuale applicazione in risposta alle sollecitazioni di parte agricola e venatoria. Lei cosa ne pensa?
Guardi, nemmeno io voglio commentare quello che accade nelle altre realtà. Credo semmai sia più utile sottolineare che quando le Regioni riescono a mettere su un provvedimento capace di tenere insieme, in equilibrio, i diversi aspetti e, contemporaneamente, di restare coerente con la direttiva europea, ci si troverà dinanzi non solo ad una iniziativa non impugnabile ma, soprattutto, ad un approccio che tiene insieme il sistema. Questa prospettiva, che pure è possibile, chiama quindi in causa la capacità di fare bene le cose, anche se, oggettivamente, richiede tanto impegno ed è carica di quelle difficoltà interpretative mai rimosse. In questo senso, ci si continua a chiedere perché mai il Governo italiano non abbia ancora voluto operare per venirci incontro, chiedendo ad esempio all’Unione Europea di cancellare dalle specie protette in Italia lo Sturnus Vulgaris, dal momento che le richieste di deroga provengono essenzialmente proprio per questa specie, che risulta essere la più insidiosa per le colture dei diversi territori italiani.
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