Riceviamo e pubblichiamo:
“Chi si macchia di atti vili, come chi ha sparato all’Ibis eremita nel livornese,
non può essere considerato un cacciatore”
Abbiamo appreso dai giornali del ferimento di un Ibis eremita , avvenuto a Cecina lo scorso giovedì. Non avremmo mai voluto commentare una notizia così grave ed inqualificabile.
Purtroppo siamo costretti a farlo per l’accadimento di un episodio che getta, indirettamente ed ingiustamente, discredito e vergogna sul mondo venatorio, essendo chi compie questi atti cosa diversa dal cacciatore. I cacciatori, infatti, sono persone serie e responsabili che hanno a cuore la tutela della fauna e dell’ambiente che li circonda e praticano la loro passione nell’assoluto rispetto di regole stabilite dalla legge e dall’etica venatoria.
L’Arci Caccia Toscana non ha alcuna intenzione di ammantare di silenzio, con la speranza che spenti i riflettori sull’accaduto, venga anche archiviato lo sdegno con cui l’opinione pubblica ha accolto tale notizia.
Siamo viceversa convinti che reati così squallidi e volgari siano i nemici più pericolosi della caccia, che nell’opinione pubblica ne rafforzano lo stereotipo di attività violenta ed immorale.
Colui che si è reso protagonista di un atto così vergognoso è doppiamente colpevole: perché ha compiuto un atto illegale e perché, soprattutto, contribuisce a gettare fango su un’attività legittima, nonché, se praticata con eticità e rispetto delle regole, utile e virtuosa sia dal punto di vista ecologico che sociale.
Il verificarsi di questi episodi, rari ma pur sempre frequenti, dovrebbero spingere tutte le Associazioni venatorie, a cominciare dalla nostra, ad interrogarsi su cosa poter fare in più affinché la cultura ed il senso di responsabilità possa crescere sensibilmente in chi pratica l’attività venatoria.
Potremmo cavarcela, e sarebbe la verità, nel sostenere che chi consegue il porto d’armi, oltre ad essere una persona incensurata, si è sottoposto ad un rigoroso e complesso corso di formazione; potremmo continuare sostenendo che il superamento dell’esame è tutt’altro che una formalità.
Tuttavia è ancora insufficiente, o comunque non ancora adeguata, la capacità di trasmettere ai futuri cacciatori il fascino e l’amore per la natura, la cultura della gestione, l’impegno e la dedizione per la salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità.
Non c’è nulla di immorale nel far apprezzare il lato ludico di questa bellissima passione, sapendo però che un maggior grado di consapevolezza non inficia il divertimento, quanto piuttosto ne migliora la qualità.
Tentiamo, consapevoli dei nostri limiti, di arricchire i corsi di formazione dell’Arci Caccia con questi elementi che consideriamo fondamentali; far acquisire all’attività venatoria una dimensione sempre più ecologica e sempre meno “sportiva” è una trasformazione necessaria per proiettare la caccia nella società del futuro.
Questa consapevolezza dovrebbe diventare una politica praticata da tutto il mondo venatorio, senza che ciò diventi il riparo dietro il quale nascondersi nei momenti di emergenza.
Ai presunti diritti, alle illusioni e alle perdenti rivendicazioni corporative dovremmo saper opporre, unitariamente, la forza della gestione e l’autorevolezza di un progetto che parli a tutti i cittadini.
La forza di questo messaggio forgerà la figura del cacciatore di domani.