All'indomani delle sempre più frequenti
catastrofi naturali che si abbattono sul nostro paese mietendo vittime, lasciando sul lastrico grandi e piccole imprese e gettando nella disperazione i sopravvissuti, si sente spesso dire che
l'Italia avrebbe urgente bisogno di enormi investimenti nel settore ambientale, in particolare per la messa in sicurezza di territori a forte rischio idro geologico, per evitare così le catastrofiche conseguenze di allagamenti, frane e smottamenti.
Subito dopo, costernati, governanti e politici si affrettano a far presente che queste risorse non ci sono e che quindi, a causa della crisi economica, non è impossibile programmare interventi di ripristino e di messa in sicurezza. Ai cittadini non resta che rassegnarsi e sperare che la prossima alluvione, il prossimo terremoto o la prossima frana, accada il più lontano possibile. Ma siamo proprio sicuri che quei soldi non ci sono mai stati? Secondo un recente studio della Cgia (Associazione artigiani piccole imprese) di Mestre, che distingue per le frequenti indagini sulla vita economica del Paese, non è affatto così: le risorse, provenienti dalle tasse appositamente ideate negli anni per questo tipo di investimenti, c'erano ma sono state dirottate. In Italia in 10 anni (1999 – 2009) sono stati versati dai cittadini 717 miliardi di tasse “verdi”, soldi che avrebbero dovuto essere investiti nel settore ambientale, nella ricerca tecnologica per lo sviluppo delle energie pulite e nel riassetto idrogeologico del territorio, ma che di fatto sono andati altrove. Sempre secondo l'associazione degli artigiani di quei miliardi solo l'1 per cento sarebbe stato effettivamente destinato alla protezione ambientale. E così anche prima del 1999. A partire dal 1990 il rapporto tra entrate in tasse “verdi” e spese per la tutela del territorio non è mai andato oltre 1.2%.
Si tratta di quelle tasse per esempio attribuite alle aziende per le emissioni tossiche, quelle sul bollo dell'auto o quelle applicate sui carburanti, e aumentate ogni volta che l'Italia si trova a dover passare attraverso una nuova catastrofe. I cittadini, non certo contenti, accettano l'aumento senza troppo protestare, perché, si pensa, è una questione di solidarietà che va a beneficio di tutti. Poi va a finire che quegli aumenti “straordinari” diventano ordinari, con la beffa ulteriore che quelle entrate serviranno a coprire altre voci di spesa, magari anche rimpinzando i fondi destinati ai rimborsi elettorali ai partiti, che in più di un caso sono finiti nelle tasche di qualche furbo, bruciati al video poker o spesi in feste faraoniche e vacanze di lusso.
Subito dopo l'alluvione che pochi giorni fa ha messo in ginocchio molte zone di Toscana, Umbria e Lazio, il Ministro Clini ha dichiarato: "Abbiamo chiesto alla UE di allentare il patto di stabilità per liberare risorse pubbliche per la prevenzione", facendo presente che "il 10% della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica, ed i comuni interessati sono 6.633”, ma anche che “purtroppo quello che è stato programmato ed avviato è ancora parziale e frammentario. Gli interventi per la prevenzione del rischio idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio, identificati congiuntamente con le Regioni procedono con difficoltà e a macchia di leopardo”, difficoltà attribuite manco a dirlo, alla carenza di soldi, tanti soldi, ben superiori a quelli che sarebbero stati necessari, lo dice lo stesso ministro, per la prevenzione e la messa in sicurezza. Peccato che il Ministro Clini, che è ufficialmente diventato ministro solo con il Governo Monti, sia stato direttore generale del Ministero per 22 anni. Una riflessione quantomeno sul suo operato sarebbe d'obbligo.