Il Corriere della Sera di martedì 19 marzo riporta una importante dichiarazione a difesa della caccia pubblicata sul New York Times in questi giorni. A farla è stato Alexander Songorwa, responsabile per i parchi e la conservazione delle specie selvatiche della Tanzania, che in un appello pubblico rivolto alll'ufficio di protezione e gestione faunistica degli Stati Uniti (il Fish and Wildlife Service), chiede sostegno ai programmi di gestione attuati nel proprio paese, evitando di inserire il leone fra le specie in pericolo. La situazione è in sostanza questa: se i turisti americani non potranno riportare i propri trofei a casa, inevitabilmente sceglieranno altre mete e altri tipi di caccia, il che significherebbe anche un
declino dell'intero impianto di gestione dei grandi parchi africani. Perdere questo genere di turismo, come spiega Songorwa "
sarebbe rovinoso per i nostri sforzi di conservazione”.
Songorwa è l'equivalente del nostro ministro dell'Ambiente, è un ambientalista impegnato a contrastare la terribile piaga del bracconaggio e interessato alla conservazione della fauna nella propria nazione. Il dato di fatto, che vale per tanti altri paesi africani è questo: grazie alla caccia controllata (e sostenibile) e agli enormi entroiti portati dai turisti, è possibile portare avanti la gestione di queste grandi riserve e tutelare così i 16.800 leoni che vivono nei parchi della Tanzania e rappresentano il 40% di tutti i leoni del continente africano.
Mediamente, spiega Songorwa, viene permesso l’abbattimento di 200 leoni all’anno: si tratta di maschi adulti non all’apice dell’età riproduttiva. Il sacrificio dei 200 vecchi leoni porta circa due milioni di dollari l’anno. Gli introiti governativi per tutti i trofei (anche di altre specie) dal 2008 al 2011 sono stati vicini ai 75 milioni. ‘Soldi tutti spesi per potenziare le riserve naturali’. Forse quello del rappresentante della Tanzania - conclude Dino Messina sul Corriere della Sera - è un modo non manicheo di essere ambientalisti”.