Ieri si è festeggiata la giornata internazionale della biodiversità. Come sempre sono state organizzate campagne di sensibilizzazione e giornate a tema. Ma per fermare quello che sembra ormai un inesorabile declino delle specie animali e vegetali non bastano le belle parole e gli inviti da parte delle associazioni ambientaliste a riversare altri fondi che andranno a sostegno di oasi e riserve. Il modo migliore, secondo noi, è fermarsi e ragionare su quello che stiamo perdendo da uomini che un tempo non molto lontano adeguavano la loro vita alle leggi della natura e conoscevano quel codice di comportamento etico che permetteva la sopravvivenza di tutte le specie. Niente di meglio, quindi, che leggere alcuni estratti, estremamente profetici, di Mario Rigoni Stern, che, da cacciatore, proponeva anche uno sguardo critico su certa caccia troppo moderna.
“Quest’anno non ho rinnovato la licenza di caccia. Non che la passione sia venuta meno o per tardivo pentimento, ma per legge di natura. Molte cose sono cambiate, non solo nel mio corpo, ma anche nell’habitat montano e nel comportamento degli uomini. Il mancato taglio e utilizzo del pino mugo, la riduzione sensibile delle greggi, l’abbandono delle malghe più alte e scomode da raggiungere, hanno mutato l’aspetto della montagna influendo notevolmente sugli animali selvatici: i caprioli sono aumentati e occupano areali per loro inusitati, i camosci hanno ripreso territori che avevano abbandonato quasi un secolo fa, sono ricomparsi i cervi e qualche lince, le volpi sono dilagate, i tetraonidi nettamente diminuiti, quasi scomparse le coturnici. A quando i lupi”?
“Non è solo il cambiamento ambientale ad agire sui selvatici. Studi e convegni internazionali confermano che vi sono delle specie soggette a declini e riprese periodiche ancora inspiegabili. Ma io penso che a questi fenomeni si debba aggiungere anche una presenza antropica “innaturale”. Il pastore, il malghese, il carbonaio, il cacciatore convivevano in armonia e il prelievo che veniva fatto in erba, legna, selvaggina era a suo modo equilibrato: non si distruggeva il pascolo o il bosco di mugo, non si decimava la selvaggina, perché se ciò fosse accaduto si sarebbe finito in breve di pascolare, di far carbone, di cacciare. Una regola molto semplice”.
“Qualcosa di nuovo accadrà certamente domani: molti uccelli avranno stroncato il volo, molti quadrupedi la corsa. Sarà morte per tante creature; sarà la fine di canti, di danze, di fame, di gelo. Un colpo: un’ala che si stira, una zampa che si rattrappisce: poi nulla. No, non nulla. Dall’altra parte ci sarà un uomo che raccoglierà non solamente un capo di selvaggina, ma anche tutto quello che questo era da vivo: libertà, sole, spazi, tempeste”.
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