La prova che chiudere la caccia certo non aiuta a combattere l'impoverimento delle popolazioni faunistiche, ma che anzi, apre la strada ad un bracconaggio feroce e fuori controllo, si ha in Africa e in altri paesi in via di sviluppo in cui, causa anche gli interventi delle grandi Ong internazionali ambientaliste, da decenni è stato introdotto il divieto di caccia a grandi mammiferi come l'elefante e il rinoceronte.
E' proprio nei paesi in cui la caccia è stata bandita che si verificano oggi i problemi maggiori con il bracconaggio. Come sta avvenendo in Kenia, dove nel 2012 a causa del commercio illegale di avorio dall'Asia, sono stati abbattuti illegalmente qualcosa come 36 mila elefanti.
Lo sviluppo economico di paesi dell'est come la Cina ha portato ad un incremento considerevole della richiesta di avorio, il che ha portato ad una mattanza senza freni. Si sarebbe potuta evitare solo dando un'alternativa a popoli altrimenti ridotti alla fame, creando per esempio occasioni occupazionali con i soldi derivanti dalle battute di caccia regolata e selettiva, con abbattimenti che - dove sono permessi - fruttano diverse migliaia di dollari utili a tenere sotto controllo le grandi riserve africane, oltre che a finanziare monitoraggi e studi faunistici. Cosa questa, verificabile dai dati a disposizione, emersi già nel 2009 al simposio mondiale Wfsa svoltosi in Namibia. Il bracconaggio cala considerebolmente in quelle zone dove gli abbattimenti sono permessi e permettono l'investimento di risorse economiche nella salvaguardia della fauna minacciata, passando anche da una più ferrea vigilanza antibracconaggio.
La situazione è talmente allarmante, e non solo in Kenia, che ora tutto il mondo si sta muovendo con iniziative diplomatiche per tentare di fermare questa piaga che rischia di portare all'estinzione elefanti, tigri e rinoceronti in vastissime aree. A Londra si è appena conclusa una conferenza presieduta dal Primo Ministro Britannico David Cameron e alla presenza del Principe Carlo e di suo figlio William, con i rappresentanti dei principali 44 paesi coinvolti nel commercio illegale e i rappresentanti di numerosi organismi internazionali come Cites, Interpol, Unodc, Unep e Afdb, con l’obiettivo di dare una svolta contro alla strage. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, poche settimane fa, ha preso una posizione forte contro il commercio illegale di specie selvatiche differenziando i trafficanti di fauna selvatica con due distinti regimi di sanzioni. Per ora solo impegni sulla carta, ma nulla di definito.
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