Il consumo del suolo è uno dei maggiori nemici dell'ambiente. La perdita di terreni adibiti al pascolo e all'agricoltura per fare posto a infrastrutture ed edifici, è un processo irreversibile che porta ad un continuo impoverimento della biodiversità, mettendo in continua sofferenza habitat e specie. Secondo i dati del VI Censimento generale dell'agricoltura, nel 2010 la Superficie Aziendale Totale (Sat) è risultata pari a 17,3 milioni di ettari, mentre la Superficie Agricola Utilizzata (Sau) ammontava a 12,9 milioni di ettari: dal 1982 la superficie agricola si è ridotta del 19% con punte del 23% nel centro Italia.
L'urbanizzazione degli ultimi 30 anni in Italia purtroppo ha avuto come unico faro la speculazione edilizia legata al profitto immediato. Niente o poco si è fatto per preservare gli ambienti naturali tipici di una cultura contadina che era interconnessa alle risorse ambientali, se non recintare grossi pezzi di quella natura in Parchi e riserve isolati dal resto del paese. Quasi nulla è stato fatto soprattutto per evitare l'abbandono delle campagne, e per tutelare la tipicità delle produzioni locali richiestissime all'estero. Magari garantendo ai coltivatori un guadagno proporzionale alla qualità prodotta visto che, allo stato dei fatti chi guadagna davvero su frutta e ortaggi sono le catene della grande distribuzione. Il che ha un effetto scontato: l'agricoltura intensiva ha la meglio sulle produzioni di pregio.
Dai dati del Sustainable Europe Research Institute emerge che l'Italia ha un deficit di suolo agricolo di quasi 49 milioni di ettari: il che significa che per il proprio sostentamento di cibo, fibre tessili e biocarburanti, la nostra nazione è costretta ad importare dall'estero prodotti di scarsa qualità. Una dipendenza inaccettabile considerando le consistenti esportazioni di agroalimentare Made in Italy. Abbiamo un tesoro sotto i piedi e nemmeno ce ne rendiamo conto?
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