Racconta un aspetto malato dei nostri tempi, Hungry Hearts, il film di Saverio Costanzo ultra applaudito al Festival di Venezia: quello delle follie alimentari vegane, caratterizzate dall'ossessione patologica, e da un'ideologia che non vuole sentire ragioni.
Mina, è una mamma italiana che vive a New York. Ha una storia di profonda inquietudine, a causa delle carenze affettive del passato (madre morta da piccola e un padre con cui non parla più), che finirà per riversare sul figlioletto appena nato, sotto forma di un rigido controllo del cibo, che esclude alimenti di origine animale e che finisce per danneggiarlo. Il piccolo, che la protagonista vorrebbe proteggere da tutti i mali del mondo (e dal cibo secondo lei non adatto), viene nutrito seguendo una dieta vegana che non lo fa crescere. Il padre, prima asseconda la moglie, poi si vedrà costretto a intervenire dando da mangiare di nascosto al bimbo la carne mentre la madre provvederà a fargliela vomitare poco dopo.
La protesta dell'Enpa
Questi particolari del film, che servono al regista per fornire un quadro psicologo preciso del personaggio e non certo per giudicare il regime alimentare in oggetto, hanno fatto infuriare i vegani italiani. Il direttore scientifico dell'Enpa, Ilaria Ferri, in una lettera aperta al regista Saverio Costanzo sottolinea che il film “accusa i vegani di essere ortoressici, ovvero di essere affetti da una patologia mentale che porta le persone a controllare il cibo e il suo consumo”. Hungry hearts, pertanto, dice “è un film che denota la totale mancanza di conoscenza del movimento e delle motivazioni profonde che spingono le persone, consapevoli, ad intraprendere la scelta vegana”. Certo è che il film ha un grande merito: quello di accendere un lumicino sulle estreme conseguenze che certi regimi alimentari possono causare se diventano dogma e stile di vita. E soprattutto se vengono imposti, arbitrariamente (e senza consultare un medico) ai più piccoli.