Cala del 20 per cento (in numero di individui) la popolazione europea di uccelli dal 1980 ad oggi. Lo dice uno studio britannico appena pubblicato sulla rivista scientifica Ecology Letters. A condurlo Richard Inger, dell'Università di Exeter e per conto dell'Istituto britannico di sostenibilità ambientale. Rexer e i suoi avrebbero appurato che in trent'anni in 25 paesi europei si contano 421 milioni di individui in meno, e tutto si deve al degrado degli ambienti rurali, alla perdita di habitat e all'inquinamento agricolo. Lo studio in particolare mette in evidenza come sono in realtà le specie più comuni, come i passeri, a perdere maggiormente quota. E che invece altre specie considerate in via d'estinzione, come la cicogna bianca, hanno mostrato un aumento consistente.
La ricerca ha preso in considerazione 144 specie di uccelli ed esaminato a livello europeo le tendenze delle popolazioni e la biomassa (peso complessivo degli uccelli), in calo del 7-8%. Nel complesso, ne esce che l'abbondanza di individui e la biomassa sono entrambe in calo e che la maggior parte di questo declino riguarda le specie non tutelate.
Nello studio non manca una nota critica nei confronti dei protezionisti. Gli sforzi di conservazione riservati a specie più rare, viene scritto, dovrebbero essere abbinate a sforzi maggiori per aumentare il numero complessivo di uccelli, lavorando per esempio sulla protezione degli habitat agricoli. Un dato incoraggiante per la caccia emerge anche qui. Anzitutto il declino inesorabile dei passeri non può essere attribuito alle doppiette, visto che si tratta di specie non cacciabili ormai pressochè in nessuna parte d'Europa. A dimostrazione della sostenibilità, piena a sicura, della caccia italiana e europea, poi, un altro fatto assodato, anche da precedenti ricerche: la netta, piena crescita della specie colombaccio, una delle più pressate dai cacciatori del continente.
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