“Credevo che si fosse definitivamente chiusa l’epoca delle favolette sui lupi lanciati dagli ambientalisti e dai parchi, magari con il paracadute, dagli elicotteri; credevo di non dover ascoltare o leggere mai più stupidaggini di questo tipo, notizie grottesche, surreali, per non dire false e infondate. Invece no. E’ successo ancora. E il Parco nazionale dell’Appennino Lucano è dovuto addirittura intervenire pubblicamente per smentire queste fandonie”. Lo dice il Presidente di Federparchi Giampiero Sammuri, a seguito di alcuni articoli apparsi sulla stampa nelle ultime settimane.
“Nessuna area protetta ha introdotto lupi in Italia, ed è sconfortante vedere come dopo 40 anni siano ancora vive leggende metropolitane di questo tipo. Anacronismi” spiega Sammuri. “Non solo. Per i progetti di reintroduzione servono atti, una miriade di atti. Che oggi, ancor più che in passato, sono pubblici, alla portata di tutti. Pensare che si possa liberare lupi, come qualunque altra specie, senza un parere dell’Ispra, senza lo straccio di una deliberazione, è fuori dal mondo”.
“Il successo del lupo – dice Sammuri - è frutto di dinamiche naturali della specie, sicuramente favorita dalla protezione accordata in Italia e in Europa. Basti pensare che fino agli anni Settanta del secolo scorso era legale l’abbattimento del lupo, mentre dal 1977 è inserito tra le specie particolarmente protette. Inoltre l’enorme espansione degli ungulati selvatici (cinghiali, cervi, daini, caprioli, cioè le prede naturali del lupo), ne hanno favorito il successo riproduttivo, la sopravvivenza e quindi l’incremento numerico. L’aumento della popolazione ha portato progressivamente a espandere la distribuzione della specie in Italia, per un principio molto semplice: se oggi i lupi sono da 5 a 10 volte più numerosi di quelli che erano agli inizi degli anni Settanta è evidente che non possono essere più confinati ai territori di quasi 50 anni fa".
"Così come è lapalissiano - continua il presidente di Federparchi - che questa nuova situazione può creare qualche conflitto in più con le attività umane, in particolare con gli allevamenti di animali. Un problema da affrontare con il massimo della serietà, perchè chi lavora ha tutto il diritto di essere tutelato. Se l’Ue e l’Italia decidono di tutelare il lupo, così allo stesso modo devono tutelare le attività umane che ne ricevono danni. Del resto se si indennizzano i danni prodotti dai cinghiali – specie di nessun interesse per la conservazione e che, anzi, va limitata perché troppo abbondante in alcune aree – non si capisce perché non si debba fare altrettanto (e con decisione) per i danni prodotti dai lupi".
"Quando si affronta questo tema, infine, bisogna parlare forzatamente anche di ibridi e cani inselvatichiti o mal custoditi. Infatti i danni agli allevamenti li fanno tutti i soggetti citati, ovviamente lupi compresi. Poi ci sono le “tifoserie” che attribuiscono i danni solo ai lupi o solo ai cani, a seconda della “curva” in cui siedono. Un controllo efficace dei cani, evitando la loro presenza incustodita in ambienti naturali, diminuisce i danni da una parte e dall’altra favorisce il mantenimento della purezza genetica del lupo. Così come la rimozione degli ibridi. In definitiva i parchi italiani da anni si occupano di questi problemi e lavorano per la riduzione del conflitto più che ogni altro ente in Italia. Tutto fanno, i parchi italiani, meno che liberare lupi sul territorio nazionale”. |